Ideale Estraneo

Fedayn_Eam

Saranno passati più di vent’anni da quella sera.
La sera in cui decidemmo che volevamo cambiare.
Che ci eravamo rotti i coglioni di vedere la partita al solito posto.
Volevamo andare lì, in mezzo a loro.

Li avevo visti per mesi e mesi.
Compatti come un’armata.
Senza tamburi, soltanto mani e voce.
E che voce, cazzo. Un ruggito.

Il loro simbolo mi ricordava Che Guevara.
Un capellone col basco, rigorosamente azzurro.
Una sciarpa azzurra a coprire il volto.
Un coltello stretto nel pugno sinistro.

Ma fu un’altra cosa a convincerci.
A farci alzare le chiappe da dove stavamo e ad andare lì, vicino a loro.
Fu quella sigla.
E.A.M.
Non sapevo, non sapevamo cosa significasse.
Poi ci fu spiegato.
Estranei alla Massa.

Come volevamo essere noi.
Come volevo essere io.

In curva ho imparato tutto

UMV

In curva ho imparato tutto. Tutto ciò che so su come cazzo si sta al mondo. Non me lo hanno insegnato a scuola. Non me lo hanno insegnato in chiesa. Me lo hanno insegnato in curva.

In curva ho capito che Amore fa rima con Onore. Se ami la tua squadra, devi onorarla. Se ami la tua donna, devi onorarla. Amare in maniera disonorevole non è amare. Se un amore ti porta a fare cose ingiuste o indegne, non merita di essere vissuto. Onora la tua squadra, onora la tua curva. Solo così dimostrerai amore: a lei e a tutti. E soprattutto a te stesso. Onora te stesso, fratello.

In curva ho imparato la Solidarietà. Aiutare chi non conosci. Abbracciare chi non conosci. Perché se sta lì con te, perde la voce insieme a te, si spella le mani insieme a te, macina chilometri insieme a te, subisce la repressione di stato insieme a te, significa che è come te. Significa che tu e lui siete la stessa cosa. Un pugno dato a lui è un pugno dato a te. Una manganellata sulla sua schiena è una manganellata sulla tua schiena. Quando cade per terra, aiutalo ad alzarsi. Perché quando cadrai tu, una mano si tenderà e ti aiuterà ad alzarti. Indipendentemente dal risultato. Indipendentemente dai calciatori che vestono la vostra maglia. Quella mano, per te, ci sarà sempre. Sempre.
In curva ho imparato che tutto passa, tranne l’Ideale. I calciatori possono cambiare casacca. I presidenti possono vendere la squadra. La Federazione può farla retrocederla o costringerla al fallimento. L’Ideale Ultras, invece, ci sarà sempre. In piedi sulle rovine del calcio, e del mondo, moderno. Quell’Ideale che ti fa mettere la gamba dove tutti la toglierebbero. Che ti fa credere che nella vita di tutti i giorni, anche se stai sotto 3 a zero, puoi sempre farcela. E’ già successo, e succederà ancora. E ancora. E ancora. E può succedere anche a te, se non molli di un millimetro. Se non indietreggi, nemmeno per prendere la rincorsa.

In curva ho imparato che si può essere fratelli anche se non si hanno gli stessi genitori. Che possono nascere amicizie immortali. Che il rispetto per gli altri porta al rispetto per se stessi. Che tutti abbiamo il sangue rosso, quel sangue che le forze del (dis)ordine provano a farci uscire ad ogni trasferta, persino quando non facciamo niente e stiamo buoni e composti come ci vuole il Sistema.

In curva ho imparato che il Sistema non ci vuole in una certa maniera piuttosto che in un’altra. Il Sistema non ci vuole e basta. Non vuole gente con la schiena dritta. Non vuole persone che non accettano di pagare 40 euro una curva. Non vuole persone che non vogliono tesserarsi e ridursi ad essere soci di un club. Il Sistema vuole degli utenti a cui far credere di essere suoi soci. Io non voglio essere socio di nessuno.

In curva ho imparato che la politica non deve entrare negli stadi. Perché divide. E tutto ciò che ci divide, che ci allontana, che ci ingabbia in categorie e definizioni, è nocivo. Gli ultras non si dividono, si differenziano. La differenza sta solo nei colori sociali e nelle città che difendono. La mentalità, invece, ci unisce tutti.

In curva ho imparato che chi non capisce e non rispetta queste semplicissime “regole non scritte”, non è un ultras.
Scegliete un altro nome. Chiamatelo in un’altra maniera.
Ma non vi permettete di chiamarlo Ultras.

Bologna – Napoli, ultima stagionale

Solitudine

Termina con una sconfitta una stagione che ci ha fatto stringere poche volte le viscere. Sempre troppo dietro i padroni del vapore, sempre troppo avanti a quelli che domani si giocheranno l’accesso alla Coppa dei Campioni. Poche emozioni, poche incazzature, poche esaltazioni, poche delusioni.

Termina con una sconfitta la prima stagione di Ancelotti. Un leader calmo, per riprendere il titolo di un suo libro. Un ottimo gestore di gruppi, a vedere la sua storia in panchina e a interpretare il suo palmares. Abbiamo visto quasi tutti i giocatori della rosa, e forse abbiamo capito perché in passato avevano giocato poco.

Termina la prima stagione senza il Comandante. Molti ne hanno sentito la mancanza durante le partite. Altri, tra cui il sottoscritto, soprattutto quando il pallone non rotolava in campo. Si era arrivati ad un livello di partecipazione e di immedesimazione tra squadra e tifosi che raramente si è vista sul globo terracqueo, nei due secoli scarsi di Storia del Pallone.

Termina una stagione in cui la distanza tra Società Sportiva Calcio Napoli e i propri tifosi più accaniti e più fedeli è diventata una voragine. Ciò che l’anno scorso era visceralmente unito come un sol Uomo, quest’anno è stato scientificamente diviso. La tifoseria è spaccata, quindi siamo tutti più deboli.

E più soli. Dannatamente più soli.