A girare, mammà

Jersey

Quando capita, succede sempre a quest’ora. Quando il sole comincia il forcing sul mare. Quando le auto cominciano ad entrare nei garage. Quando le TV si accendono sui guai del mondo narrati dai telegiornali.

Capita di sentire la voce di mia madre. Io che mi volto, e la vedo sbracciarsi dal balcone. “È tardi! Sali che è quasi pronto!”.
E io che chiedo ancora cinque minuti. Un’ultima azione. Il dribbling spiazzante, la cagliosa definitiva.

Indipendentemente dal fatto che stessi vincendo o perdendo, avevo ancora voglia di correre dietro a un supersantos. In compagnia di altri dodicenni, sudati quanto me, le ginocchia sbucciate per un fallo infame, il volto rigato dalle dita luride che hanno toccato asfalto, muri di tufo e pallone.
Dodicenni con le mamme in attesa, come la mia. Ma semplicemente prive di un balcone che si affacciava su quel rettangolo irregolare d’asfalto che era il nostro San Paolo, il nostro Bernabeu, il nostro Maracanà.

Un ultimo tiro, mamma. Prepara la doccia, mò salgo. Il tempo di metterla lì, vicino a quel palo arrugginito sopra il jersey, abbandonato dagli operai dell’ennesimo cantiere non finito.

Ora la metto a girare lì, mammà.