Ricordi di calciomercato

Schwoch

Arriva. Vedrai che arriva. Magari arriva.
Se arriva sarà scudetto. O almeno saremo competitivi.
Se arriva riempiamo il San Paolo. Le altre squadre verranno al Tempio e poseranno i punti.

Il calciomercato è così. Sogni che meritano di essere sognati, indipendentemente dal fatto che saranno o meno realizzati. Giornate sotto l’ombrellone e serate a farsi una birra con gli amici, a immaginare giocatori con addosso la sacra casacca azzurra. Sperando che la lascino azzurra, senza innesti strisciati, colorati, graffiati e vomitati…

Eppure ci fu un’estate in cui il mio sogno di tifoso non riguardava l’arrivo di un nuovo fuoriclasse, di un vate del campo. Il mio sogno era legato alla permanenza di un calciatore. Uno che radiomercato dava sicuro in partenza, ma io non volevo rassegnarmi.

Lo avevo amato, quel calciatore. Visceralmente amato, nei 18 mesi passati all’ombra del Vesuvio. E, come me, lo avevano amato in tanti, tantissimi. Non tanto per quello che aveva fatto, che era comunque tantissimo, ma soprattutto per quello che era stato: un capellone con la fascetta nei capelli, lo scatto fulmineo, la palla incollata al piede, un senso del gol fuori dal comune.
E quei secondi, quei minuti interi trascorsi a prendere calci vicino alla bandierina del corner, quando il risultato era uno striminzito vantaggio e il cornuto col fischietto ancora non ne voleva sapere si soffiare il triplice fischio.

Passai quell’estate andando ogni mattina a spulciare le edicole che incontravo nel tragitto fino agli scogli puteolani. Una per una, me le facevo tutte. Perché magari la prima esponeva il CorSport, mentre per leggere la prima pagina della Gazzetta dovevo raggiungere la seconda e per vedere quella del Mattino o del Roma doveva incrociare la terza.

Se nessun titolo riportava notizia della cessione, allora la mattinata cominciava bene e i tuffi a piett ‘e palummo venivano certamente meglio del solito.

Poi una mattina arrivò la doccia gelata. Non gli era stato rinnovato il contratto. Avrebbe indossato un’altra gloriosa casacca, di colore granata. E sarebbe restato in serie B. Il mio Napoli, neopromosso in serie A soprattutto grazie a quel bolzanino che a Napoli non ci voleva proprio venire e poi a Napoli ha fatto addirittura nascere suo figlio (il 30 ottobre, il nostro Natale…), aveva deciso di fare a meno dei suoi gol. E delle sue giocate. E di quei calci presi vicino alla bandierina, durante il recupero.
Quella mattina, lo ricordo come se fosse oggi, raggiunsi i compagni a mare col cuore amareggiato.
Pure il cielo, quella mattina, fu d’accordo con me. Perché chiamò le nuvole e le sistemò proprio sopra il golfo più bello del mondo.
E fece venire a piovere.