Né rosso, né nero. Azzurro.

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Una curva è grande se è compatta.
La compattezza è tutto. Serve per sostenere, per coinvolgere, per difendersi da avversari e blu.

La politica distrugge la compattezza di una curva. Ci sono gruppi ultras più adatti alla balaustra di Montecitorio che a quella dello stadio. Ci sono curve in cui le croci celtiche o i Che Guevara superano le bandiere coi colori sociali. E questo non va bene.

Ognuno voti per chi cazzo vuole. O non voti proprio, chi se ne fotte.
Chi scrive, ad esempio, ritiene che l’unico fascio buono è il fascio di friarielli. Ma al Tempio io sono sempre andato con un unico Ideale nella testa e nel cuore: la Maglia.
E sono orgoglioso che in curva A e B non ci siano riferimenti politici.
Nessuno si sogna di fare i buuu razzisti ai calciatori di colore. Nessuno si mette a inneggiare a Stalin o Mussolini.

Allo stadio si sostiene il Napoli.
Che non è rosso, né nero.
È azzurro.

Mastino

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Cane ‘e presa.
Questo è il nome con cui l’ho conosciuto, tanti anni fa.
Abbaiava, ringhiava a chiunque provava a mettere piede in casa sua.
Amichevole e leale con chi gli era amico.
Non lo facevi fesso, manco per il cazzo.
Era molto più intelligente di quanto sembrasse.
E sapeva essere spietato, quando c’era da combattere.

Mastino.
Mastino napoletano.
Così lo chiamano.

Teste Matte

teste matte

Ero dodicenne o poco più. Diego non stava già più all’ombra del Vesuvio. Era una di quelle domeniche in cui mio padre lavorava e al Tempio mi ci portava un parente o un amico di famiglia.

Curva A. Avevamo fatto tardi. Entrammo di corsa e di corsa andammo a pisciare, prima di salire sugli spalti.
Uscii dal cesso e fui assalito da un boato spaventoso. E bellissimo. Una cinquantina di persone stava salendo le scale che portano all’anello superiore.
Compatti. Nel cantare e nel camminare. Gesticolavano a tempo. Quei pugni roteavano nell’aria accompagnati da grida di battaglia. Erano fieri, persino ordinati, incutevano timore. Nessuno indossava maglie del Napoli. Nemmeno una sciarpetta o un berretto. Niente.
Eppure si vedeva lontano un chilometro che erano partenopei.

– Chi sono?
Il mio accompagnatore mi rispose senza togliere lo sguardo da quell’armata.
– Sono le Teste Matte. Sono ultras.
– Ah si? Strano… Non indossano niente del Napoli. Non capisco.
Lui mi guardò come si guarda un bambino cresciuto pensando agli Ultras come ai protagonisti di “Quel ragazzo della curva B”. Mi mise una mano sulla testa.
– Nun può capì. Nun può capì ‘e Teste Matte.

Napoli. Siamo. Noi.

Napoli Siamo Noi

Roma ha la Roma. E la Lazio.
Torino ha il Torino. E quelli là.
Milano è nerazzurra, ma anche rossonera.
Liverpool? 2 squadre.
Come Manchester. Barcellona. Madrid. Glasgow. Berlino. Amburgo.
Di Londra e Mosca non ne parliamo proprio. I derby si sprecano.

Tutte le più grandi città europee hanno almeno due squadre. Tutte, tranne Parigi.

E Noi. Noi siamo Noi, e basta. Per noi il derby è un succo di frutta. Noi siamo Napoli, tifosi della maglia e della città. Con buona pace dei politici, in giacca o in felpa, e dei protagonisti del calcio. Sia quelli in campo, sia quelli in panchina, sia quelli indegnamente seduti dietro la scrivania.

Napoli.
Siamo.
Noi.

Scusaci, Raul

Raul Albiol2

Scusaci, Raul.
Anche se non dovremmo essere noi a chiederti scusa, ma quel cafone che ha l’onore di essere presidente del Napoli. Onore del quale non può rendersi conto, affogato dal suo ego smisurato.

Le scuse te le facciamo noi al posto del proprietario del Bari.
Sentire che un professionista serio e umile come te ci fa “solo una cortesia” ad andare via da Napoli e a tornare in Spagna, è un cazzotto nello stomaco. Il calcio dovrebbe premiare giocatori come te, esempio per i giovani scugnizzi che cominciano a calpestare gli sconnessi campi di gioco e a sognare di poter indossare un giorno la camiseta azul.

In un’epoca in cui i calciatori fingono depressioni pur di accasarsi da altre parti, oppure fuggono di notte e vanno a fare le visite mediche all’estero, o addirittura mandano in avanscoperta procuratori e mogli, un giocatore che chiede semplicemente di essere ceduto senza macelli mediatici e con l’unico fine di tornare a casa (a 34 anni) andrebbe portato come esempio.
Così si fa, quando si sente che la propria esperienza di lavoro e di vita è giunta al termine: si chiede di essere ceduti. Senza montare casini, senza pennivendoli usati all’uopo, senza post fiammeggianti sui social. A bocce ferme, coi campionati fermi, quando non si possono creare problemi.

No, non ci fai una cortesia ad andartene. Non sarà facile trovare uno come te, in campo e fuori.
Ma certi cafoni che farebbero bene a parlare il meno possibile, certi pezzenti sagliuti con una concezione di sé superiore alla decenza, non lo capiranno mai.

Buona ciorta, Raul.

Mai più la 10 a qualcuno

James_Rodriguez

Non ha ancora la sacra maglia addosso.
Non è nemmeno ufficiale.
Eppure i papponcini già stanno infestando l’aria con la più idiota delle domande:
“Gli dareste la 10?”.

A questi esemplari belanti, a questi vespasiani ambulanti, a queste capre bipedi vogliamo ricordare una banalità: la 10 non si darà a nessuno.
N-E-S-S-U-N-O.

Ci hanno costretto a usarla negli anni della C.
Fino a che sarà possibile scegliere i numeri di maglia, la 10 non dovrà più essere assegnata.

Mai più.

Questione di appartenenza

Questione di appartenenza

A volte non sei tu a scegliere quei colori.
A volte sono loro a scegliere te.

Si tuffano nei tuoi occhi, vibrano nel tuo stomaco, palpitano nel tuo cuore.
Li vedi intorno a te, sui muri della città, appesi ai balconi del quartiere o stretti al collo, incollati agli zaini degli scugnizzi e ai pali della luce.

Quei colori diventeranno i tuoi colori. E lo saranno per sempre, riempiendo le tue giornate nel grigiore di un mondo in bianco e nero.

Per quei colori ti emozionerai, lotterai, piangerai.
Non sarà mai un motivo di convenienza, ma sempre e solo una questione di appartenenza.

Per la Maglia, per la Città

Per la Maglia per la città

“Siamo tifosi del Napoli.
E siamo tifosi di Napoli.
Perché tra squadra e città
per noi c’è identità.
La Maglia non è moda o convenienza,
ma questione di viscerale appartenenza.”

Buona ciorta, Raul

Raul Albiol

Siamo ai saluti, Raul.
Te ne torni in Spagna.
Tante cose vorremmo dirti, rivedendo nella memoria le polaroid della tua vita in azzurro.

L’incornata al Genoa ci fece sognare. Il tuo urlo, i tuoi occhi ridotti a fessure, mentre tutto lo stadio esplodeva.

L’ultima con la Spal avrà sempre un posto speciale nel mio cuore: era l’esordio al Tempio di mio figlio. La prima volta che ha esultato al San Paolo è stato grazie a un tuo gol.

La maglia strappata col Verona. Le uscite palla al piede. Le chiusure decise e puntuali.

Tante cose vorremmo dirti, Raul.
Perché “Grazie” sarebbe troppo poco.
Noi onoriamo solo la maglia, non chi la indossa. Perché i calciatori passano, la maglia resta.
Ma quando ci troviamo di fronte ad un uomo che ha onorato la camiseta azul, non possiamo che rendergli onore.
E salutarlo.

Buona ciorta, Raul.

Ultimo baluardo

Ultimo Baluardo

I calciatori, gli allenatori, i dirigenti, i presidenti.
Tutti possono tradire, baciare maglie già abbandonate, giurare fedeltà già infedeli.

Solo loro non tradiscono mai.
Mai.

Ultimo baluardo di irriducibile fedeltà.

Su di voi

sediolini san paolo

Eravate brutti.
Scomodi.
Fatiscenti.
Luridi.
Divelti.
Spaccati.

Ma su di voi abbiamo esultato.
Ci siamo abbracciati.
Abbiamo pianto.

Chi ama non dimentica.

Decreto sicurezza bis: meno diritti anche allo stadio

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Il problema è serio.
Decenni di repressione indiscriminata, di inutili tessere del tifoso, di caro biglietti, di articoli 9 e altre amenità, non sono evidentemente bastate al Sistema Calcio.
Postiamo qui due contributi, entrambi “firmati” dall’avvocato napoletano Emilio Coppola, tra i più noti e competenti esperti di leggi riguardanti la vita da stadio e il calcio in generale.

Il sedicente decreto sicurezza bis è un pericoloso peggioramento delle libertà individuali e collettive. Ovviamente, anche il mondo del tifo, organizzato o meno, è sotto la lente di ingrandimento di questo ennesimo tentativo di repressione di un movimento sociale che, al netto di errori e contraddizioni, rappresenta comunque l’ultimo baluardo al sacrificio del Calcio sull’altare del Profitto.

Vi invitiamo, quindi, ad ascoltare attentamente quanto riportato in questo video:

e poi a leggere quanto riportato in questo articolo, tratto dal sito Identità Insorgenti:

Su sollecitazione di molti che mi hanno chiesto cosa cambia nelle manifestazioni sportive dopo il decreto sicurezza bis, decreto che nasceva per contrastare una serie di fenomeni sull’immigrazione clandestina e per lo svolgimento imminente delle Universiadi a Napoli.

Non entro nel merito delle due questioni ma affronto quello che è disciplinato dal decreto sicurezza bis al capo tre, ossia le disposizioni urgenti in materia di contrasto alla violenza in occasioni di manifestazioni sportive: è stato infatti completamente riformato l’articolo 6 della legge 401/89 che era l’articolo cardine che disciplinava il Daspo. Nella nuova formulazione viene estesa la possibilità ai questori e al personale di polizia di emanare Daspo per i soggetti non solo denunciati ma anche per quei soggetti che abbiano incitato o inneggiato o indotto alla violenza. Questo chiaramente è un’estenzione discrezionale estensiva dei poteri dei questori che possono censurare alcuni comporamenti e magari tollerarne degli altri. Avremo il rischio concreto che qualche questura in Italia, nel prossimo campionato, possa daspare soggetti che magari si sono resi responsabili del gesto dell’ombrello verso il tifoso avversario, dicendo che quel comporamento che in un certo senso può indurre alla violenza. Quindi una novità introdotta che mi sento di poter criticare foremente per la discrezionalità a cui si espone. Inoltre vi è la possibilità di emanare Daspo per una condotta singola o di gruppo tenuta all’estero e non solo per episodi violenti ma anche per episodi che possono indurre alla violenza. Quindi basta andare a bere nel pub sbagliato all’estero con i propri amici con la digos che segue la tifoseria all’estero che fa rapporto in questura per avere il Daspo da parte della Questura dove si risiede.

Inoltre viene estesa la possibilità di emanare Daspo non solo nei confronti di soggetti che si rendono responsabili di delitti o che comunque vengono denunciati in occasione di manifestazioni sportive ma anche di soggetti che vengono denunciati per la legge sulle armi e per le risse, non in occasioni di manifestazioni sportive ma nella vita di tutti i giorni. Quindi se domani vi vedete con i vostri amici fuori ad un locale e venite purtroppo coinvolti in una rissa sappiate che i Questori hanno la possibilità di emanare il Daspo nei vostri confronti.

E veniamo a un punto molto dolente della nuova disciplina che è l’aumento della durata del Daspo per i recidivi che non sarà più da 5 a 8 anni come prevedeva la legge Renzi-Alfano ma sarà da 6 a 10 anni. Quindi va fatta molta attenzione alla riabilitazione amministrativa: lì dove siano trascorsi 3 anni dallo scadere del Daspo e non ci si è resi responsabili di ulteriori reati o denunce, va chiesta la riabilitazione amministrativa alla questura di competenza, con i propri legali o direttamente in questura: un consiglio che mi sento di dare perché entrare oggi in nello scaglione dei recidivi significa la morte del tifoso.

Inoltre il decreto sicurezza bis istituzionalizza la figura del “tifoso spione” ossia chiunque viene daspato se collabora nell’indentificazione di soggetti che magari si sono resi responsabili in gruppo di alcune condotte può avere un trattamento sanzionatorio diverso o addirittura la revoca del provvedimento, anche lì dove si ripara il danno creato – e questo potrebbe avere una logica, mentre la prima mi pare un po’ fuori dalle righe. Inoltre viene estesa la possibilità di fare il daspo ai soggetti sottoposti a misure di prevenzione. C’è inoltre una parte che riguarda la materia dei rapporti tra società e tifosi e viene fatto assoluto divieto alle società di concedere biglietti a titolo agevolato o gratuito, titoli di viaggio – basti pensare alle tifoserie che seguono le coppe europee – ai soggetti destinatari di Daspo. Quindi le società le società che affrontano le coppe europee, ad esempio che vogliono organizzare un charter, non possono affidarsi a tifosi daspati. Viene inoltre equiparato l’arbitro a un incaricato di pubblico servizio estendendo la sei quater della legge 401/89.

Altra novità importante è che viene introdotta un aggravante del codice penale sull’articolo 61 che riguarda appunto le aggravanti, viene data la possibilità di contestare questa aggravante quando il reato viene commesso durante le manifestazioni sportive.

Inoltre vengono estese le possibilità di fermi per gli indiziati di reato e – udite, udite – l’unico sistema che stava funzionando attualmente nel nostro sistema di procedura penale, quella dell’ipotesi di particolare tenuità, che ha fatto sì che sia io che molti colleghi siamo riusciti ad ottenere questa pronuncia da parte dei tribunali nelle ipotesi come ad esempio l’introduzione di una torcia all’interno dello stadio, oggi l’ipotesi di particolare tenuità per lo stadio non è più ravvedibile.

Credo che sia questa la novella più significativa del decreto sicurezza bis in materia di manifestazioni sportive. Questo è quello che ha voluto il ministro dell’Interno, quello che qualche mese fa stringeva la mano a un tifoso di un’altra squadra definendosi amico degli ultras.

Ora al di là delle idee politiche di ognuno, il mio auspicio è che questa materia non venga disciplinata con questi colpi di mano improvvisi e continui ma che si metta mano veramente, ad esempio levando ai questori il potere di daspare, che andrebbe lasciato ai giudici, come avviene in Inghilterra, cosa che nessuno dice affinché ci sia un contraddittorio pieno prima dell’emanazione di un Daspo.

Questo, intanto, è lo Stato di Polizia che ci sarà nel prossimo campionato dalle prime informazioni arrivate. Naturalmente vigileremo e seguiremo gli sviluppo di questa materia.

Avvocato Emilio Coppola

Colombia partenopea

Gonzalo_Martinez

Gira questa voce, da giorni.
James Rodriguez al Napoli.
E’ possibile? Pare di si.
E’ probabile? Pare di no.
Staremo a vedere.

Napoli è una città sudamericana fuori dal Sudamerica.
Questo narra la leggenda, questo dice la storia.
Città ideale soprattutto per gli argentini, ma anche per brasiliani come Antonio de Oliveira Filho, Ricardo Rogério de Brito o Luís Vinícius de Menezes – che a Napoli ci vive ancora.

E i colombiani? Si, anche loro si sono trovati bene a Napoli. Almeno stando a sentire i loro racconti di quando giocavano al San Paolo.
Il primo fu Freddy Eusebio Rincon, 27 partite e 7 gol in un solo anno, prima di andare a vincere una Coppa Campioni a Madrid, sponda merengues.
L’ultimo colombiano in maglia azzurra, escludendo il portiere David Ospina, è stato Camilo Zuniga, che oggi se la spassa sulle spiagge di mezzo mondo in compagnia di donne sempre molto procaci.
Uno da cui ci si aspettava molto era Pablo Armero, soprannominato da molti “30 sul campo”, anche se il riferimento non era agli scudetti che la Juventus festeggiava in barba alle sentenze…
Uno che aveva forse bisogno di qualche chance in più era Duvan Zapata, reduce da una grande stagione con l’Atalanta e da buone annate con Samp e Udinese.

Ma nel mio cuore c’è un altro colombiano. Visto e vissuto negli anni più belli: quelli tra l’adolescenza e l’età adulta.
Purtroppo per me, sono stati gli anni peggiori del Napoli Calcio, conclusi infatti col fallimento.
Era un laterale (perché non si è mai capito se fosse terzino, ala o guardalinee). Macinava chilometri sulla fascia, spesso dimenticando il pallone dietro di sé.
Aveva un piede morbido, morbidissimo, praticamente un mattone.
In 32 presenze in maglia azzurra non ha mai segnato un gol e forse avrà ingarrato tre cross a voler essere gentili.
I suoi strappi incendiavano il San Paolo in anni talmente bui che, quando c’era una punizione dal limite, si invocava il nome di Gianluca Luppi, non certo Cruz, Mihailovic o Pirlo.

Questo colombiano si chiamava, e si chiama tuttora, Gonzalo Martinez, ‘O Nirone. Quando penso ad un giocatore colombiano in camiseta azul, il primo pensiero va a lui.
Anche per questo, James, vedi di muoverti.
Jamme bell.

Lì in mezzo

stendardi

Non si tratta di romanticismo, no.
Manco per il cazzo.

Si tratta di sentirsi davvero fratelli nonostante madri diverse.

Si tratta di sentirsi al sicuro, lì in mezzo.
Di sapere che puoi contare su chi ti sta a fianco.
E che lui può contare su di te.

Italia – Bosnia

Lorenzo Insigne

Lorenzo ne ha messa un’altra dentro.

Un golazo, direbbe Core ‘ngrato.

A cui si aggiunge un assist. In quello stadio là.

E come sempre quando gioca la nazionale italiana, la memoria corre ad onorare la Squadra Esterna 2 di Napoli.

Esseri mitologici. Non solo per la RAI.

Away days: Belgrado

Away Days

Away days: Milano

Napoli_Milan_109

San Siro.
Milan vs NAPOLI.
1981/82.

Ricordi di calciomercato

Schwoch

Arriva. Vedrai che arriva. Magari arriva.
Se arriva sarà scudetto. O almeno saremo competitivi.
Se arriva riempiamo il San Paolo. Le altre squadre verranno al Tempio e poseranno i punti.

Il calciomercato è così. Sogni che meritano di essere sognati, indipendentemente dal fatto che saranno o meno realizzati. Giornate sotto l’ombrellone e serate a farsi una birra con gli amici, a immaginare giocatori con addosso la sacra casacca azzurra. Sperando che la lascino azzurra, senza innesti strisciati, colorati, graffiati e vomitati…

Eppure ci fu un’estate in cui il mio sogno di tifoso non riguardava l’arrivo di un nuovo fuoriclasse, di un vate del campo. Il mio sogno era legato alla permanenza di un calciatore. Uno che radiomercato dava sicuro in partenza, ma io non volevo rassegnarmi.

Lo avevo amato, quel calciatore. Visceralmente amato, nei 18 mesi passati all’ombra del Vesuvio. E, come me, lo avevano amato in tanti, tantissimi. Non tanto per quello che aveva fatto, che era comunque tantissimo, ma soprattutto per quello che era stato: un capellone con la fascetta nei capelli, lo scatto fulmineo, la palla incollata al piede, un senso del gol fuori dal comune.
E quei secondi, quei minuti interi trascorsi a prendere calci vicino alla bandierina del corner, quando il risultato era uno striminzito vantaggio e il cornuto col fischietto ancora non ne voleva sapere si soffiare il triplice fischio.

Passai quell’estate andando ogni mattina a spulciare le edicole che incontravo nel tragitto fino agli scogli puteolani. Una per una, me le facevo tutte. Perché magari la prima esponeva il CorSport, mentre per leggere la prima pagina della Gazzetta dovevo raggiungere la seconda e per vedere quella del Mattino o del Roma doveva incrociare la terza.

Se nessun titolo riportava notizia della cessione, allora la mattinata cominciava bene e i tuffi a piett ‘e palummo venivano certamente meglio del solito.

Poi una mattina arrivò la doccia gelata. Non gli era stato rinnovato il contratto. Avrebbe indossato un’altra gloriosa casacca, di colore granata. E sarebbe restato in serie B. Il mio Napoli, neopromosso in serie A soprattutto grazie a quel bolzanino che a Napoli non ci voleva proprio venire e poi a Napoli ha fatto addirittura nascere suo figlio (il 30 ottobre, il nostro Natale…), aveva deciso di fare a meno dei suoi gol. E delle sue giocate. E di quei calci presi vicino alla bandierina, durante il recupero.
Quella mattina, lo ricordo come se fosse oggi, raggiunsi i compagni a mare col cuore amareggiato.
Pure il cielo, quella mattina, fu d’accordo con me. Perché chiamò le nuvole e le sistemò proprio sopra il golfo più bello del mondo.
E fece venire a piovere.

Merda atipica

Arbitro cornuto

Verrebbe voglia di spaccargli la faccia, lo so.
E’ la stessa voglia che avevamo dopo la finale di Pechino, quando tutto il Mondo ha visto l’infame furto che subimmo proprio grazie a questa sottospecie di uomo vestito da arbitro.
E’ la stessa voglia che avevamo quando non ha interrotto la partita di San Siro a seguito dei vergognosi cori razzisti contro un nostro calciatore, molto prima che venisse giustamente espulso.
E’ la stessa voglia che avevamo quando arbitrava, con quel suo passo da stambecco con un palo nel culo. Quel suo fare autoritario con chi non conta niente e ossequioso con il Potere.

Verrebbe voglia di sputargli in un occhio, lo so.
Quando apertamente dichiara che, nel dubbio, tra il capitano della Juve e i giocatori del Genoa, ha creduto al primo, regalando un rigore per un fallo commesso un metro fuori area.
Quando dice che Marek Hamsik, il nostro ultimo capitano, uno dei calciatori più tranquilli e più rispettosi dell’intero campionato, uno che non ha mai alimentato polemiche e ha sempre mantenuto un profilo basso, era il calciatore che tollerava di meno, che gli stava più antipatico. Cose ‘e pazz.

Verrebbe voglia di pestarlo, lo so.
Ma non converrebbe farlo, per due motivi.
Il primo, perché non merita nemmeno il rischio di una denuncia.
E poi perché è una merda atipica:
non porta fortuna manco se la pesti.

La maglia

 

Maglia_Cirio

La prima maglia di cui ho memoria era azzurra.
Con la scritta CIRIO in mezzo al petto.
Mio padre me la portò al ritorno da un turno pomeridiano di lavoro.
Mi disse che l’aveva comprata a Piazza Garibaldi.
Piazza Omm ‘e merd, come abbiamo imparato a chiamarla noi napoletani che abbiamo riscoperto un po’ della nostra storia. Ma questo al momento non ci interessa.

La mia epidermide ricorda ancora la sensazione. Quella sensazione.
Lo strofinio di quella maglia sul mio corpicino.
Un tessuto, che forse non esiste più, scorse dalla testa fino al bacino.
Avevo gli occhi chiusi davanti allo specchio. Quando li riaprii, mi vidi calciatore del Napoli.

Quella maglia era azzurra.
Non blu, celeste, camouflage, con artigli da pantera o simil jeans.
Era azzurra.

In questi giorni stanno cominciando a girare indiscrezioni sulla maglia del Napoli per la prossima stagione. Pare che non ci sarà più il riferimento alla pantera. Pare che uno sponsor verrà sostituito da un altro. Pare che ci saranno strisce bianche sulle spalle. Pare che il colore sarà più vicino al blu che all’azzurro. Pare. Pare. Pare.

Questioni di marketing. Questioni di merchandising. Questioni di cazzi loro.
Io ribadisco quello che ho sempre pensato e sostenuto: se si vuole fare qualcosa di diverso, di più audace, di innovativo, esiste la terza maglietta. La facciano rossa, arancione, pixellata, con le pantere, con le zoccole, color vomito o color diarrea. Non me ne frega un cazzo.
Ma la prima maglia deve essere azzurra, completamente azzurra, con numerazione bianca.
E la seconda deve essere bianca, con numerazione azzurra.
Punto.

Contro l’elogio del professionismo

Maglie appese

I tifosi del bilancio già mi stavano sulle palle. Gente che antepone le plusvalenze alle vittorie sportive, che preferisce tenere i conti in ordine piuttosto che riempire la bacheca. Nel calcio contano ANCHE i soldi, è chiaro. Ma per questa gente contano PRIMA i soldi. Fossero soldi loro, potrei capire. Ma visto che sono soldi di altri…

Adesso è uscita fuori un’altra razza, forse peggiore dei tifosi del bilancio: gli ultras del professionismo. Per questa gente non contano un cazzo l’attaccamento, l’identità, la passione, la fedeltà.
Baci una maglia, ma poi te ne vai di nascosto nella squadra più odiata? Sei un professionista, lo puoi fare. Anzi, è giusto che tu lo faccia.
Avevi giurato “mai con quelli là” e poi proprio da quelli là te ne vai? Non sei un bugiardo, un traditore, nu piezz ‘e merda. Sei un Professionista.

Ieri l’ allenatore del Milan, Gennaro Gattuso, ha risolto consensualmente il proprio contratto col Milan. Squadra di cui è stato calciatore per una dozzina di anni, ma soprattutto tifoso da quando è nato. Ha rinunciato a due anni di stipendio, circa 5 milioni, e ha chiesto solo che ai suoi collaboratori sia garantito lo stipendio.

Dal punto di vista del professionista, Gattuso ha sbagliato pesantemente, rinunciando a un importante contratto e senza nemmeno avere una nuova società interessata a lui. Secondo gli ultras del professionismo, Gattuso è un coglione.

Secondo me è stato Uomo. Con la maiuscola. È stato un esempio di attaccamento, di altruismo, di fedeltà alla maglia.

Perché solo la maglia conta.
Ma i tifosi del bilancio e gli ultras del professionismo non lo possono capire.

Sulla balaustra arrugginita dell’Ideale

Balaustra

Continuate, continuate pure.
A dare credito a chi dice che ADL e Ancelotti sono arrivati quasi alle mani. Che il mercato del Napoli sarà spumeggiante, anzi sparagnino, anzi miez e miez.
Continuate a litigare sulle bombe di mercato, sulle indiscrezioni di spogliatoio e sulle rivelazioni del pennivendolo di turno.
Continuate a farvi dividere sui furti dei faretti nel cesso della curva, dando le colpe agli ultras (?) o ai napoletani come popolo (???).
Continuate a dire che ha ragione Salvini, magari tra un po’ direte che aveva ragione pure Lombroso. Continuate a prestarvi alla sociologia da quattro soldi, agli odiatori radiofonici unti e bisunti, agli antropologi falliti di stocazzo.
Continuate, continuate pure. Io non partecipo a questo gioco infame.
Me ne resto qui, sulla balaustra arrugginita dell’Ideale.
Dalla parte opposta del campo.