Teste Matte

teste matte

Ero dodicenne o poco più. Diego non stava già più all’ombra del Vesuvio. Era una di quelle domeniche in cui mio padre lavorava e al Tempio mi ci portava un parente o un amico di famiglia.

Curva A. Avevamo fatto tardi. Entrammo di corsa e di corsa andammo a pisciare, prima di salire sugli spalti.
Uscii dal cesso e fui assalito da un boato spaventoso. E bellissimo. Una cinquantina di persone stava salendo le scale che portano all’anello superiore.
Compatti. Nel cantare e nel camminare. Gesticolavano a tempo. Quei pugni roteavano nell’aria accompagnati da grida di battaglia. Erano fieri, persino ordinati, incutevano timore. Nessuno indossava maglie del Napoli. Nemmeno una sciarpetta o un berretto. Niente.
Eppure si vedeva lontano un chilometro che erano partenopei.

– Chi sono?
Il mio accompagnatore mi rispose senza togliere lo sguardo da quell’armata.
– Sono le Teste Matte. Sono ultras.
– Ah si? Strano… Non indossano niente del Napoli. Non capisco.
Lui mi guardò come si guarda un bambino cresciuto pensando agli Ultras come ai protagonisti di “Quel ragazzo della curva B”. Mi mise una mano sulla testa.
– Nun può capì. Nun può capì ‘e Teste Matte.

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