Tre

Tifosi_sulla_rete

Ci sono quelli che chiedono le vittorie. I trofei, le coppe, gli scudetti.
Quelli che per una vittoria sarebbero disposti a tutto. Ogni scorrettezza, persino la più infame, viene giustificata in nome del risultato.
Vincere è l’unica cosa che conta non è un motto solo juventino. Citazioni di Machiavelli a cazzo, ci si nasconde dietro un bieco “il fine giustifica i mezzi”.
Questi tifosi valutano tutto in base al risultato. Se vinci, loro sono con te. Se non vinci, sei un fallito. E i falliti non piacciono a nessuno, in un campo da calcio come nella vita di tutti i giorni.

Poi ci sono quelli romantici, che sognano di vincere giocando meglio dell’avversario. Quelli che si esaltano per l’azione sublime, il colpo ad effetto, la giocata folle che illumina un pomeriggio grigio e faticoso.
Sono i tifosi del bello, gli esteti del calcio totale, per i quali una sconfitta non è un dramma se arriva dopo una grande prestazione.
Sono quelli che nella vita provano a fare la cosa buona, a stare dalla parte dei giusti e dei ragionevoli, pronti alle raccolte di firme, ai cortei per la pace, allo sport inteso come passatempo che fa bene al corpo e allo spirito.
Persone nobili, perle rare, spesso però inadatte alle battaglie della vita.

Poi ci sono quelli. Gli altri. Quelli che non piacciono ai machiavellici e ai romantici. Quelli che si esaltano per un tackle duro, per una maglia sudata fino all’inverosimile, per un gamba tesa, per quelli che mettono la testa dove gli altri non metterebbero un piede.
Quelli che sì, davvero, fino in fondo, vivono ogni momento “al di là del risultato”. Sul campo di calcio come sul luogo di lavoro, in famiglia come tra gli amici.
Non vogliono fare la cosa buona, né la cosa giusta, ma solo quello che va fatto. Per appartenenza, per difesa o persino per vendetta.
Non vogliono stare dalla parte dei buoni e dei ragionevoli: dalla parte del torto si sta meglio, c’è più posto.
Quelli che non hanno nobiltà, se non di spirito. Gente popolare, nel senso migliore del termine.

Quale dei tre gruppi è meglio? Domanda sbagliata. Non è questione di classifiche, ma di atteggiamento, di approccio, di mentalità.
Già, la mentalità. E’ quella a fare la differenza.
Sempre. Ogni giorno. In ogni campo. Sotto ogni tempo.

Divide et impera

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“Faremo un grande mercato.
Tutti cambiano allenatore, noi no.
Grande vantaggio.

I faretti. I seggiolini. Le Universiadi. Il pezzotto. La droga. Le multe.

Albiol vuole andare via? Mannaggia.
Manolas? No, è ‘na capa pazza.
E’ vero! Un amico del fidanzato della figlia di mio cugino è passato per Roma due anni fa: Manolas rompe lo spogliatoio.
Arriva Manolas: grande acquisto!
La miglior difesa d’Italia. Anzi d’Europa.

E adesso arriva pure James.
E’ fatta. E’ ufficiale.
Quasi ufficiale. La comunicazione arriverà il 13 luglio.
Il 15 agosto.
Il 30 febbraio.

Che ha detto? Mette le curve a 50 euro? Fa bene! Accussì imparano a contestarlo!
Come? Ha abbassato i prezzi? Ha fatto bene! Accussì imparano a contestarlo!

Pareggiamo con la Cremonese: servono rinforzi!
Surclassiamo il Liverpool: nun serve nisciuno!
Ne pigliamo quattro dal Barcellona: ma quando arriva James?
Meno male che Elmas è giocatore. Il nuovo Fabian Ruiz.

Mica come Milik, quella pippa polacca. Magari arrivasse Icardi!
Icardi non vuole venire? Tanto abbiamo Milik! Che ce ne fotte!
Siete degli ingrati col polacco. Io sto con Milik.
Je suis ADL.”

I tifosotti ragionano così.
Da giorni, da mesi, da anni.
Da sempre.
Si fanno dividere per farsi comandare.
Quanto gli piace stare sotto padrone, mammamà.

Meno male che c’è gente ESTRANEA a questo modo di ragionare.
E che non è serva di nessuno.

Forma e sostanza

Essere Non Apparire

Una vecchia canzone dei CSI si intitolava “Forma e Sostanza”. Non c’è esperienza umana in cui questa dicotomia non si manifesti.
Sulle gradinate, dello Stadio o della Vita, bisogna decidersi: Essere oppure Apparire.
Noi non abbiamo dubbi.

Ulteriore repressione

Fumogeno

Decreto sicurezza bis.
Codice comportamentale.

Gli ultimi infami tentativi del Sistema di togliere colore alle gradinate.

Solo gli Ultras vincono sempre

Solo gli Ultras

Sterili dibattiti di fantamercato fanno il paio con la spaccatura, fomentata dai papponcini, nel tifo partenopeo.
Decenni di avanguardia evidentemente non contano più nulla per quelli che vanno al Tempio “a vedere il Real Madrid”, e non il Napoli.
Oggi Ultras è sinonimo di tifoso interessato, nel senso che tifa per interesse e contesta quando quegli interessi non sono perseguiti e finalizzati.
Interessi non sportivi, ma criminali.
Tossici, spacciatori, camorristi, falsari, gente che “non mangia più col Napoli”.

È questa la più grande, indelebile e grave colpa del proprietario del Bari: aver voluto spaccare il tifo, ossia la più grande forza del Napoli.
Potrà comprare undici Messi e vincere dieci scudetti, questa infame colpa non sarà mai mondata.
Mai.

Bandito

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Se pure arrivasse James Rodriguez, sarebbe comunque il secondo “Bandito” più importante nella storia del Napoli.

Il primo, oggi, compie 50 anni.

Il primo fumogeno

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La prima volta che ho avuto un fumogeno in mano non è stato al Tempio.
E’ stato al Partenio di Avellino.
Napoli – Sampdoria, sedicesimi di coppa italia.

Pioveva, porca troia quanto pioveva.
Partimmo con tre auto da Pozzuoli.
Io stavo con uno che “vado ad Avellino tutti i mesi, per lavoro”.
Ovviamente, sbagliò strada.
Ce ne accorgemmo quando vedemmo il cartello “San Vittore”.

Facemmo San Vittore – Avellino in un amen.
Arrivammo a partita iniziata.
All’ingresso c’era uno steward con l’ombrello e poca voglia di stare lì.
Ci strappò i biglietti senza nemmeno controllare.
Facemmo le scale di corsa, per raggiungere l’anello superiore del Partenio.
Arrivati lì, non c’era nessuno.
Nemmeno un gruppo ultras.
Dove cazzo stavano?

Sotto.
Nell’anello inferiore.
Buttai uno sguardo nella curva opposta: vidi lo striscione Fedayn.
Presi il cellulare e chiamai Zelig.
– Oh, ma addò stai?
– Di fianco ai Fedayn, come sempre. Pecchè, tu addò stai?
– Nella curva opposta.
Agitai le braccia.
– Si, ti vedo. Che ci fai là?
– Eh…

Avevamo pure sbagliato curva.
La pioggia, almeno, si era presa una breve pausa.
Allungai il collo, per vedere quali gruppi stessero all’anello inferiore, sotto di me.
C’erano i Vecchi Lions.
Ottimo. Decidemmo di metterci lì.
Neanche il tempo di ridiscendere le scale, che incontrai un tizio che conoscevo.
Uno che aveva almeno quindici anni di curva più di me sul groppone.
– Che cazzo ci fai qua?
– Nu casino che nun hai idea… abbiamo sbagliato strada, siamo arrivati tardi, abbiamo sbagliato curva…
– Ho capito, nu maciello. Vabbuò, vieni qua… dammi na mano.

Gli diedi una mano.
Letteralmente.
Nella mano mi mise un fumogeno.
– L’hai mai appicciato?
– No, mai.
– Te faccio vedè… se fa accussì.
La torcia prese fuoco.
Strinsi gli occhi, per abituarmi ala luce.
L’odore acre del fumogeno non mi era mai sembrato così dolce.
Lui fece lo stesso con un altro fumogeno.
Si mise a qualche metro da me.

Il cellulare mi squillò.
Risposi, senza leggere il nome sul display.
Era Zelig.
– Oh, ma si tu chillo co’ nu fumogeno in mano?

Gli Ultras italiani dettano la linea

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Vi sottoponiamo un interessante articolo apparso sul Manifesto.
E’ una breve intervista al sociologo francese Sébastien Louis, autore del libro “Ultras. Gli altri protagonisti del calcio”.
L’interesse nasce dal fatto che essere Ultras è sempre più vista come una cosa italiana (che altri provano a imitare), ben distinta dall’hooliganismo britannico o dell’est europa e anche dal tifo organizzato sudamericano.
L’intervista è firmata da Pasquale Coccia:

“Il movimento ultras italiano è un punto di riferimento mondiale per le coreografie. Dai primi gruppi dei fedelissimi, fattore di aggregazione sociale, alle sottoculture degli anni ‘70 del secolo scorso, la curva ha rappresentato uno spazio libero e liberato. Il tentativo esplicito dei nuovi padroni del calcio è di espellerli dagli stadi, perché il calcio commercializzato non li tollera più. Ne parliamo con il sociologo francese Sèbastien Louis, autore di Ultras. Gli altri protagonisti del calcio (meltemi, euro 25,00).

Perché hai scritto questo libro?

Sono stato un ultras del Marsiglia dal 1994 al 2007. Viviamo in una società dell’individualismo e della divisioni, a me è sempre piaciuto stare insieme, partecipare ai momenti di creatività collettiva e lo stadio, sopratutto la curva lo permettono. L’Italia è considerata la mecca degli ultras dall’Europa fino all’Indonesia. Nel 1967-68 è nato il primo gruppo ultras, anche se esistevano già gruppi dei Fedelissimi Lazio, Roma, Sampdoria, ecc. In quegli anni si passa dai circoli ai superclub dei tifosi, voluti dai presidenti delle società. Nel ‘67 i tifosi della Sampdoria espongono uno striscione con la scritta Commandos, fino al 1971 sorgono i commandos Tigre, Fossa dei Leoni, Ultras della Sampdoria, Boys dell’Inter. Dopo il ‘71 sorgono le Brigate. C’è un salto di qualità, non sono tifosi violenti, ma accettano il principio della violenza.

Gli altri gruppi ultras famosi nel mondo?

Gli hooligans, i torcidos brasiliani, i barras bravas in Argentina e infine il modello “balcanico” tra la Turchia e la ex Jugoslavia. Gli hooligans prediligono lo scontro fisico, i torcideros sono espressione della cultura del carnevale brasiliano, gli ultras della torcida vi partecipano con le loro bande musicali. In Argentina le barras sono molto violente e meno organizzate. Gli ultras italiani diventano un punto di riferimento mondiale per le coreografie negli stadio.

Tra gli ultras trovano spazio anche le sottoculture?

Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 in Italia non si poteva essere huppye, skin, punk, erano culture che si erano affermate a Parigi, Londra, Bruxelles, ma non nel vostro paese. Allo stadio era possibile presentarsi in un certo modo, i genitori accettano un modo di vestirsi dei figli perché sanno che vanno allo stadio a fare il tifo, non considerano la curva un luogo pericoloso, come le manifestazioni politiche dove vi era il pericolo di scontri tra giovani di sinistra e fascisti o con la polizia. I giovani ultras liberano gli spazi tradizionali dello stadio per fare il tifo, aggregarsi, bere, assumere sostanze, badano poco alla partita, la curva diventa uno spazio liberato con gruppi trasversali, anche se i primi ultras sono di sinistra, ma la politica non c’entra niente. Gli ultras ostentano in curva simboli politici di quel periodo, dalla P38 al pugno chiuso fino al saluto romano, in realtà sono solo provocazioni, è una cultura giovanile diversa che di fatto diventa una sottocultura.

Hai studiato il modello ultras nell’Africa del nord?

Ho fatto parte degli ultras del Marsiglia, nato nel 1984 ad opera di un figlio di immigrati italiani, in Belgio nel 1996 è nato un gruppo ultras grazie all’impegno di un figlio di immigrati delle Marche, anche nel Lussemburgo e in Germania i gruppi ultras sono stati fondati dai figli degli immigrati italiani. Nel Nordafrica il movimento ultras è nato nel 2002, in Tunisia e Marocco vedevano la tv italiana, la trasmissione sportiva 90° minuto, i giovani delle curve si sono ispirati a quelli della Fossa dei Leoni, Commandos Curva Sud, ecc. A volte allo stadio si espongono striscioni scritti in italiano. Anche in Indonesia ho visto uno striscione dei tifosi dello Pss Sleman, una squadra di serie A, scritto in italiano e firmato Brigata Curva Sud. La settimana scorsa a Genova, alla festa dei 50 anni del gruppo ultras Tito Cucchiaroni della Sampdoria, ha partecipato un ragazzo arrivato appositamente dal Marocco, ha chiesto e ottenuto il visto, solo per partecipare a una festa degli ultras, altrimenti sarebbe rimasto a casa.

Il rapporto tra ultras e calcio commerciale?

Gli ultras sono l’ultima frontiera di un calcio popolare. Nel 1993 cambia la formula della Champions League, gli ultras sono i primi a capire che ai vertici del calcio europeo c’è un disegno chiaro di volerli estrometterli dagli stadi, di dare spazio alle famiglie. Si comincia dall’Inghilterra con la Premier League, si criminalizzano gli hooligans che nel decennio precedente hanno seminato violenza e morte, come a Sheffield, con l’intento di ridurre la capienza degli stadi e sostituire un pubblico popolare con uno medio-alto, aumentando i prezzi dei biglietti. Oggi in Inghilterra non cè più tifo, per un appassionato del tifo acceso sugli spalti è il peggior posto dove andare. Ci sono tanti inglesi che vengono in Italia per vedere le partite. Conosco inglesi che sono tifosi dell’Arezzo, altri vanno a Genova. Al momento il calcio italiano rappresenta sul piano del tifo popolare un contromodello rispetto a quello inglese. La sfida è riprendersi le curve per mantenere un ruolo pubblico.

Gli ultras rischiano di fare da contorno al calcio commerciale?

In Germania si registra una media di 44 mila spettatori a partita, la percentuale più lata del mondo, hanno capito l’importanza di coinvolgere gli ultras per tenerli nello stadio. La gente va allo stadio per vedere la partita in campo, ma anche lo spettacolo. Negli stadi tedeschi ci sono posti per i tifosi, per le famiglie con bambini, per gli ultras è un modello che funziona benissimo. Anche in Germania c’è la repressione ma non come in Italia.

Recentemente il governo italiano ha introdotto diffide fino a 10 anni, gli ultras diventano un laboratorio della repressione, oggi allo stadio, domani nelle città. Lo Stato ha bisogno di cavie, che siano gli immigrati o gli ubriachi, non importa, gli ultras in Italia sono considerati socialmente pericolosi.”

No politics

No politics_Fedayn_Volantino

Tra le tante cose ottime del movimento ultras napoletano c’è anche il fatto di essere apolitico.

Fuori, vota chi cazzo vuoi.
Dentro, tifa solo il Napoli.

La più bella del mondo

Maglia Napoli Mars

Tutta azzurra.
Coi numeri bianchi.
Senza pixel, pantere, strisce, denim e camouflage.

La più bella del mondo.

Vogliamo la nostra maglia!

Maglia_Napoli_2019-20

Le voci e le immagini circolate settimane fa erano vere.
Purtroppo.
Dopo la pantera dell’anno scorso, completamente priva di ogni riferimento storico o culturale al Napoli e a Napoli, si è stati capaci di peggiorare la situazione.

– Ma perché, mica è brutta sta maglietta!

Preveniamo l’obiezione.
A noi non ce ne fotte se è bella o brutta, perché ognuno ha i suoi gusti. Noi ci limitiamo a dire che questa NON È la maglia del Napoli.
I pixel, il camouflage, i corn ‘e chi v’è vivo… tutte puttanate, che rispondono a logiche mercantili e pubblicitarie.
Logiche che non ci appartengono e che contrastiamo.

Se si vuole sperimentare, esiste la terza maglietta. Quella possono farla verde, bicolore, a pois, chi se ne fotte.
Ma la prima deve essere TUTTA AZZURRA, senza ghirigori, coi numeri bianchi.

Sappiamo bene che questa è una battaglia di retroguardia, che ha più avversari che sostenitori.
Siamo consapevoli che il mondo del Calcio è pronto a sotterrare tradizioni, loghi, colori sociali sull’altare del Mercato.
Sappiamo anche che molti coglioni sono pronti a spendere centinaia di euro per queste cagate, e se qualcuno fa notare loro la stronzata che fanno, si innervosiscono.

Ma noi siamo fatti così.
Legati alla Tradizione che non puzza di conservatorismo.
Il nostro pensiero è OPPOSTO, difficilmente riconducibile alla prassi del Sistema Calcio.
E continuiamo a dirlo, anche se la nostra voce rimarrà isolata.

Teste Matte

teste matte

Ero dodicenne o poco più. Diego non stava già più all’ombra del Vesuvio. Era una di quelle domeniche in cui mio padre lavorava e al Tempio mi ci portava un parente o un amico di famiglia.

Curva A. Avevamo fatto tardi. Entrammo di corsa e di corsa andammo a pisciare, prima di salire sugli spalti.
Uscii dal cesso e fui assalito da un boato spaventoso. E bellissimo. Una cinquantina di persone stava salendo le scale che portano all’anello superiore.
Compatti. Nel cantare e nel camminare. Gesticolavano a tempo. Quei pugni roteavano nell’aria accompagnati da grida di battaglia. Erano fieri, persino ordinati, incutevano timore. Nessuno indossava maglie del Napoli. Nemmeno una sciarpetta o un berretto. Niente.
Eppure si vedeva lontano un chilometro che erano partenopei.

– Chi sono?
Il mio accompagnatore mi rispose senza togliere lo sguardo da quell’armata.
– Sono le Teste Matte. Sono ultras.
– Ah si? Strano… Non indossano niente del Napoli. Non capisco.
Lui mi guardò come si guarda un bambino cresciuto pensando agli Ultras come ai protagonisti di “Quel ragazzo della curva B”. Mi mise una mano sulla testa.
– Nun può capì. Nun può capì ‘e Teste Matte.

Napoli. Siamo. Noi.

Napoli Siamo Noi

Roma ha la Roma. E la Lazio.
Torino ha il Torino. E quelli là.
Milano è nerazzurra, ma anche rossonera.
Liverpool? 2 squadre.
Come Manchester. Barcellona. Madrid. Glasgow. Berlino. Amburgo.
Di Londra e Mosca non ne parliamo proprio. I derby si sprecano.

Tutte le più grandi città europee hanno almeno due squadre. Tutte, tranne Parigi.

E Noi. Noi siamo Noi, e basta. Per noi il derby è un succo di frutta. Noi siamo Napoli, tifosi della maglia e della città. Con buona pace dei politici, in giacca o in felpa, e dei protagonisti del calcio. Sia quelli in campo, sia quelli in panchina, sia quelli indegnamente seduti dietro la scrivania.

Napoli.
Siamo.
Noi.

A testa alta

a testa alta

In ogni stadio.
In qualsiasi giorno.
A qualunque ora.
Contro ogni avversario.
Nonostante abusi e repressione, menzogne e tradimenti.
Indipendentemente dal risultato.

Gli unici sempre presenti.
E sempre a testa alta.

Questione di appartenenza

Questione di appartenenza

A volte non sei tu a scegliere quei colori.
A volte sono loro a scegliere te.

Si tuffano nei tuoi occhi, vibrano nel tuo stomaco, palpitano nel tuo cuore.
Li vedi intorno a te, sui muri della città, appesi ai balconi del quartiere o stretti al collo, incollati agli zaini degli scugnizzi e ai pali della luce.

Quei colori diventeranno i tuoi colori. E lo saranno per sempre, riempiendo le tue giornate nel grigiore di un mondo in bianco e nero.

Per quei colori ti emozionerai, lotterai, piangerai.
Non sarà mai un motivo di convenienza, ma sempre e solo una questione di appartenenza.

4 agosto a Marsiglia

Marseille

Non è ancora ufficiale, ma è molto probabile.
Il prossimo 4 agosto si disputerà una amichevole tra O.Marsiglia e Napoli, al Velodrome, in occasione dei 120 anni dalla fondazione della squadra francese.

Marsiglia.
Non certo ricordi felici.
Coppa Campioni, 2013.
La loro polizia.
Le sassaiole.
Quello stadio pericolante.
Il dopo gara.

In campo un Napoli tutto azzurro.
Maglia, pantaloncini e calzerotti.
Due lampi: uno ispanico e uno colombiano.
Quest’ultimo a girare, sul secondo palo.
Nell’angolo vicino al settore ospiti.

La libertà

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La libertà non è fare il cazzo che ti pare. Lo dovresti sapere, ormai. Perché a ogni tua azione corrisponde una reazione.
Non è filosofia di merda, no. È fisica. Il mondo gira così, tra un contropiede e l’altro.
E si può stare al mondo solo in due modi: in catene o liberi. No, non parlo di catene reali, di ferri più o meno arrugginiti messi da qualche divisa serva dello stato e confermati da qualche toga serva dello stato.
C’è più gente libera in galera che nelle tribune vip degli stadi di mezza Europa.
Parlo di catene mentali, di presunte certezze figlie del pregiudizio e madri di ogni giudizio. Sicurezze che danno insicurezza all’anima, portandoci a scegliere una comoda prigione dipinta di libertà da discount piuttosto che la scomoda estraneità alla massa.

Onore agli uomini realmente liberi. Agli estranei, agli eretici, agli eterodossi.

Per la Maglia, per la Città

Per la Maglia per la città

“Siamo tifosi del Napoli.
E siamo tifosi di Napoli.
Perché tra squadra e città
per noi c’è identità.
La Maglia non è moda o convenienza,
ma questione di viscerale appartenenza.”

Ultimo baluardo

Ultimo Baluardo

I calciatori, gli allenatori, i dirigenti, i presidenti.
Tutti possono tradire, baciare maglie già abbandonate, giurare fedeltà già infedeli.

Solo loro non tradiscono mai.
Mai.

Ultimo baluardo di irriducibile fedeltà.

Away days: Roma

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Lazio vs NAPOLI.
1993/94.

Giornata turbolenta…

Away days: Belgrado

Away Days