Duecentosessantanove

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269.
Duecentosessantanove.
Sono gli euro che servono per acquistare un abbonamento in curva.
Questo è quanto ha stabilito il Napoli.
Prezzo ottimo, non c’è che dire. Un plauso alla società per questa scelta è assolutamente meritato.

269 euro.
Poco più di Milan e Inter (che superano di poco i 250 euro per il secondo anello di San Siro, cuore della torcida milanese) e meno della Roma, che si piazza a 310 per la curva Sud.
Nettamente avanti a tutti, la Juventus ha stabilito un prezzo di 650 euro per l’abbonamento di curva all’Allianz Stadium.

E nel resto d’Europa, che aria tira?
Aria bellissima e salutare in Germania, dove il Bayern Monaco l’anno scorso ha messo gli abbonamenti popolari a 140 euro (no, non è un errore di battitura). Quest’anno ha alzato leggermente il prezzo, “a causa dell’inflazione” dicono i bavaresi, ma rimane comunque bassissimo.
Il Borussia Dortmund si attesta intorno ai 250 euro per la curva, il famoso Muro Giallo.

Aria pessima in Inghilterra, dove la curva dell’Arsenal costa più di 1000 euro, seguita dal Tottenham (905 euro, stadio nuovo). La gradinata di Anfield Road costa 780 euro, quella di Stamford Bridge 675 euro. Capitolo Manchester: caro lo United, oltre 600 euro; bassissimo il City, poco più di 350 euro.

E in Spagna? Lì è più difficile fare confronti, visto che esiste l’azionariato popolare e che gli abbonati sono anche soci del club. L’abbonamento in curva del Real Madrid costa circa 400 euro (inclusa la quota socio), mentre il settore popolare al Camp Nou costa 140 euro, a cui va aggiunta la quota socio, che ha molte variabili.

Su di voi

sediolini san paolo

Eravate brutti.
Scomodi.
Fatiscenti.
Luridi.
Divelti.
Spaccati.

Ma su di voi abbiamo esultato.
Ci siamo abbracciati.
Abbiamo pianto.

Chi ama non dimentica.

Dietro la panchina

Dietro la panchina

Avrò avuto quattordici anni o poco più.
Stavo sugli spalti del Tempio, vicino ai Fedayn.
Incrociai un ultras che indossava una t-shirt grigia, con la scritta in rosso.
Support your local team.
Non ci avevo mai pensato, ma in effetti era una cosa sacrosanta.

Io sono di Pozzuoli, in provincia di Napoli.
A Pozzuoli esiste una squadra, la più antica della Campania.
Football Club Puteolana 1902.
La Puteolana.
Maglia granata, un diavolo come stemma.
Quando mi allacciavo gli scarpini e provavo a rubare palloni agli attaccanti avversari, per un anno ho giocato anche nelle giovanili della Puteolana.
Un anno solo, il tempo di capire che tra calcio e studi liceali, avrei fatto bene a dedicarmi solo a questi ultimi.
A vedere la Puteolana c’ero andato un sacco di volte.
Ma mai a fare il tifo.
Mai in mezzo agli ultras.

Quell’incrocio sugli spalti del Tempio mi spinse a vedere le cose da un’altra prospettiva. Decisi di andare a seguire anche la Puteolana, tutte le volte che gli orari della partita non coincidevano con quella del Napoli. Andai una prima volta, in mezzo agli ultras granata: Old Fighters e Vikings erano i due gruppi principali, quelli che avevano davvero una attitudine ultras. Conoscevo ragazzi di entrambi i gruppi, così mi sistemai con loro. Ci andai una domenica, visto che il Napoli aveva giocato il sabato.
Eravamo a pochi metri dal campo di gioco e facevamo un tifo indiavolato. Mai aggettivo fu più indicato, trattandosi della Puteolana. Il guardalinee poteva sentire le nostre bestemmie e i nostri cori. I calciatori stessi venivano coinvolti dal nostro casino sulle gradinate. Fu un’esperienza bellissima. Vincemmo, ma questo è un dettaglio poco importante. Avevamo fatto un grande tifo. Cori e treni compatti. Una splendida fumogenata. E tifo all’inglese, come piaceva a me, che lo avevo imparato nei Fedayn: senza tamburi, solo battimani e voce.

Il giovedì successivo, nel tardo pomeriggio, la Puteolana sostenne l’allenamento al Conte, lo stadio di Pozzuoli. Era uno di quei pomeriggi invernali in cui nessuno esce di casa se non ha un cazzo da fare. Io, invece, sono sempre stato un tipo a cui la casa puzzava: appena potevo, scendevo e me ne andavo per i cazzi miei. A passeggio, a scrivere, a incontrare gente.
Quel pomeriggio andai al Conte. Avevo voglia, avevo bisogno di stare lì. Chiamai qualche amico per vedere se qualcuno volesse venire con me. Un paio di loro rispose presente: ci saremmo incontrati lì.
Entrai al Conte e non c’era nessuno. Né sulle gradinate, né in campo. Il vento gelido tagliava a fette l’aria e i fili d’erba del campo. Dopo cinque minuti, mi squillò il cellulare:

  • Dove cazzo ti sei messo?
  • Sulle gradinate.
  • Lo so, ti vediamo. Che cazzo ci fai da solo là? Noi stiamo dietro la panchina. Vieni.

Alzai lo sguardo e li vidi. I miei compagni. Entrambi Old Fighters. Stavano seduti sui gradoni dietro alla panchina, dalla parte opposta del campo. Si stavano sbracciando come coglioni.
Mentre facevo il giro del campo per raggiungerli, i giocatori della Puteolana entrarono in campo. Me ne accorsi perché sentii gli applausi dei miei due amici. Guardai nella loro direzione e scorsi i calciatori abbandonare gli spogliatoi e calpestare il verde sporco del campo.
Arrivai da loro e ci salutammo. Faceva un freddo fottuto, un tempo ideale per un caffè bollente. Invece i due avevano portato qualche lattina di birra. Ne presi una in mano, era ghiacciata. Ma se hai quattordici anni e stai di giovedì pomeriggio a vedere l’allenamento di una squadra che fa l’Eccellenza o giù di lì, vuol dire che te ne sbatti il cazzo del caldo, del freddo e di quello che fanno i tuoi coetanei. Ti senti davvero come dicevano i Fedayn: Estraneo alla Massa.

Ci scolammo le prime tre birre manco fosse una calda serata agostana. Poi Procolo, uno dei miei amici, ci guardò con occhi convinti:

  • Fa nu sfaccimma ‘e fridd, ci dobbiamo riscaldare. Tifiamo.

Nessuno obiettò. Alzammo le mani e cominciammo a intonare un coro.
Poi un altro. Poi un altro ancora.
I calciatori di tanto in tanto buttavano un occhio verso di noi.
Verso tre ragazzi dietro la panchina.

Campo vuoto

Campo calcio vuoto

Quando il campo è vuoto e gli spalti silenziosi e grigi, i Pensieri corrono lungo la fascia. A volte mettono in mezzo cross invitanti, altre volte si trascinano la palla sul fondo.
Mentre gli Ideali combattono a centrocampo. Mischie furibonde, tackle durissimi, battaglie da cui si esce sempre con i lividi, anche se incredibilmente in piedi.

Le Responsabilità stanno in difesa. Perché è lì che si vincono i campionati. Lì si costruiscono vittorie e cicli. Stanno in difesa attente al contropiede, al taglio dell’attaccante dietro la linea, al rimorchio da coprire. Le Responsabilità salgono quando c’è da riconquistare palla, scappano indietro quando c’è da difendere su una palla scoperta.

Il campo vuoto a volte fa paura.
Perché puoi perdere prima ancora di scendere in campo.
Perché sa essere come la pagina bianca per uno scrittore.
Come un giorno banale di cui in futuro non si avrà più memoria.