La Pelota no se mancha

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Dovrebbero scriverlo, come sui pacchetti di sigaretta: “Crea dipendenza”.
Come una droga, la più innocua di tutte. Perché ti fa viaggiare nel tempo senza procurarti danni, ti fa tornare bambino ogni volta che la incroci. Anzi, che lo incroci.

Il Pallone.

Andrebbe impresso tanto sul cuoio quanto sulla plastica del Super Santos.
Bisognerebbe stamparlo all’ingresso di ogni campetto, sulla porta di ogni spogliatoio, persino all’interno dei pali della porta.

Il Pallone crea dipendenza.

Se lo vedi rotolare nella tua direzione, non puoi fare a meno di stopparlo e rilanciarlo, magari dopo qualche palleggio. Se incontri un gruppo di ragazzini intenti a rincorrerlo, difficilmente riesci a passare oltre senza fermarti un attimo a guardare. Però, che bel tocco. E quell’altro, che grinta.

Quando il tuo piede tocca per la prima volta un pallone, quasi sicuramente non sai ancora camminare. Forse riesci a teneri dritto in piedi, niente di più. Da quell’istante, la magia non ti abbandonerà più.

La pelota no se mancha, disse il più grande di tutti.
Il pallone non si sporca.

Una volta, un vecchio allenatore disse: “Molti credono che il calcio sia questione di vita o di morte. Non sono d’accordo: è molto, molto di più”

 

Tre

Tifosi_sulla_rete

Ci sono quelli che chiedono le vittorie. I trofei, le coppe, gli scudetti.
Quelli che per una vittoria sarebbero disposti a tutto. Ogni scorrettezza, persino la più infame, viene giustificata in nome del risultato.
Vincere è l’unica cosa che conta non è un motto solo juventino. Citazioni di Machiavelli a cazzo, ci si nasconde dietro un bieco “il fine giustifica i mezzi”.
Questi tifosi valutano tutto in base al risultato. Se vinci, loro sono con te. Se non vinci, sei un fallito. E i falliti non piacciono a nessuno, in un campo da calcio come nella vita di tutti i giorni.

Poi ci sono quelli romantici, che sognano di vincere giocando meglio dell’avversario. Quelli che si esaltano per l’azione sublime, il colpo ad effetto, la giocata folle che illumina un pomeriggio grigio e faticoso.
Sono i tifosi del bello, gli esteti del calcio totale, per i quali una sconfitta non è un dramma se arriva dopo una grande prestazione.
Sono quelli che nella vita provano a fare la cosa buona, a stare dalla parte dei giusti e dei ragionevoli, pronti alle raccolte di firme, ai cortei per la pace, allo sport inteso come passatempo che fa bene al corpo e allo spirito.
Persone nobili, perle rare, spesso però inadatte alle battaglie della vita.

Poi ci sono quelli. Gli altri. Quelli che non piacciono ai machiavellici e ai romantici. Quelli che si esaltano per un tackle duro, per una maglia sudata fino all’inverosimile, per un gamba tesa, per quelli che mettono la testa dove gli altri non metterebbero un piede.
Quelli che sì, davvero, fino in fondo, vivono ogni momento “al di là del risultato”. Sul campo di calcio come sul luogo di lavoro, in famiglia come tra gli amici.
Non vogliono fare la cosa buona, né la cosa giusta, ma solo quello che va fatto. Per appartenenza, per difesa o persino per vendetta.
Non vogliono stare dalla parte dei buoni e dei ragionevoli: dalla parte del torto si sta meglio, c’è più posto.
Quelli che non hanno nobiltà, se non di spirito. Gente popolare, nel senso migliore del termine.

Quale dei tre gruppi è meglio? Domanda sbagliata. Non è questione di classifiche, ma di atteggiamento, di approccio, di mentalità.
Già, la mentalità. E’ quella a fare la differenza.
Sempre. Ogni giorno. In ogni campo. Sotto ogni tempo.

Al triplice fischio

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Quando l’arbitro fischia tre volte e la tua squadra non ha raggiunto il risultato sperato, accade una cosa. Dura un attimo o poco più, alla peggio qualche minuto, poi passa. Ma succede sempre.

Accade che ogni volto vicino a te perda i lineamenti, che la tua città imbruttisca all’istante, che la tua ragazza faccia schifo, che il tuo lavoro non abbia più senso. Accade che la rabbia provata fino al triplice fischio si tramuti in sgomento, in perdizione, infine in disperazione.

Ogni volta c’è uno smarrimento, una labirintite improvvisa, una emicrania lancinante, un groppo in gola, un cuore impazzito.

Poi cominci a sentire i commenti, quegli infiniti “Lo sapevo” , quei vergognosi “Ma che veniamo a fare”, quegli indecenti “La prossima volta mi sto a casa”.

Allora lì tutto finisce. Nessuno smarrimento, tutto torna chiaro. E tu capisci nel profondo il senso di quelle parole che ti dissero quando avevi da poco iniziato a frequentare le gradinate.
Quelle parole che hai tatuato nell’anima e che, in queste serate, tornano a infiammarsi di verità:

Quando vinci, sei di tutti.
Quando perdi, sei solo mia.

Fiorentina – NAPOLI a gamba tesa

Ciata fa

La partita a gamba tesa è cominciata con gente vestita di viola che correva. E gente vestita d’azzurro che pascolava.

Vantaggio viola su rigore. Sono cazzi.

La partita a gamba tesa è Mario Rui ammonito al primo respiro. Difficile giocare con un fardello del genere, specie contro tuffatori come i figli d’arte. Mario ci riesce. Bravo.

La partita a gamba tesa è nelle urla in faccia a Massa, che fischia ogni cazzo senza motivo. I ragazzi giocano male, ma sono incazzati. Bene.

Ciruzzo si gira e la mette nell’angolino.
Manco il tempo di asciugarsi la fronte e Ciruzzo stramazza al suolo. Solo le indecenti nuove disposizioni possono consentire di fischiare un rigore e farlo pure tirare senza fucilazione degli arbitri.
Lorenzo spiazza il portiere.
1-2, duplice fischio.

La partita a gamba tesa è nell’incazzatura di Manolas per la saponetta che Milenkovic tira in bocca a Meret. Il greco è un comandante. E vuole vincere.

Anche Jose Maria vuole vincere. Ne tocca una, di prima: diagonale imparabile. Ne tocca un’altra, di prima: doppietta di Lorenzo, addirittura di testa.
In mezzo, il marito di Melissa Satta bacia il palo interno e festeggia con una capriola. Voto 5 al corpo libero, da rivedere alla trave.

La partita a gamba tesa è Elmas, 20 anni di cazzimma, che al primo pallone fa una veronica con la suola e spiega a Venuti che è ora di andare.

Fabian lo guarda e decide di mostrare al macedone e ai fiorentini un po’ di repertorio: finte, dribbling, cambi di gioco, falli attesi e puntualmente ricevuti. Tutto da fermo, è il mondo che gira seguendo i suoi dettami.

La partita a gamba tesa è nella Fiesole che canta “Odio Napoli” un secondo prima del triplice fischio.
Il settore ospiti esplode. I ragazzi in campo si abbracciano tutti.
Più che una partita a gamba tesa, ne hanno vinta una a cazzo dritto.

Duecentosessantanove

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269.
Duecentosessantanove.
Sono gli euro che servono per acquistare un abbonamento in curva.
Questo è quanto ha stabilito il Napoli.
Prezzo ottimo, non c’è che dire. Un plauso alla società per questa scelta è assolutamente meritato.

269 euro.
Poco più di Milan e Inter (che superano di poco i 250 euro per il secondo anello di San Siro, cuore della torcida milanese) e meno della Roma, che si piazza a 310 per la curva Sud.
Nettamente avanti a tutti, la Juventus ha stabilito un prezzo di 650 euro per l’abbonamento di curva all’Allianz Stadium.

E nel resto d’Europa, che aria tira?
Aria bellissima e salutare in Germania, dove il Bayern Monaco l’anno scorso ha messo gli abbonamenti popolari a 140 euro (no, non è un errore di battitura). Quest’anno ha alzato leggermente il prezzo, “a causa dell’inflazione” dicono i bavaresi, ma rimane comunque bassissimo.
Il Borussia Dortmund si attesta intorno ai 250 euro per la curva, il famoso Muro Giallo.

Aria pessima in Inghilterra, dove la curva dell’Arsenal costa più di 1000 euro, seguita dal Tottenham (905 euro, stadio nuovo). La gradinata di Anfield Road costa 780 euro, quella di Stamford Bridge 675 euro. Capitolo Manchester: caro lo United, oltre 600 euro; bassissimo il City, poco più di 350 euro.

E in Spagna? Lì è più difficile fare confronti, visto che esiste l’azionariato popolare e che gli abbonati sono anche soci del club. L’abbonamento in curva del Real Madrid costa circa 400 euro (inclusa la quota socio), mentre il settore popolare al Camp Nou costa 140 euro, a cui va aggiunta la quota socio, che ha molte variabili.

Solo gli Ultras vincono sempre

Solo gli Ultras

Sterili dibattiti di fantamercato fanno il paio con la spaccatura, fomentata dai papponcini, nel tifo partenopeo.
Decenni di avanguardia evidentemente non contano più nulla per quelli che vanno al Tempio “a vedere il Real Madrid”, e non il Napoli.
Oggi Ultras è sinonimo di tifoso interessato, nel senso che tifa per interesse e contesta quando quegli interessi non sono perseguiti e finalizzati.
Interessi non sportivi, ma criminali.
Tossici, spacciatori, camorristi, falsari, gente che “non mangia più col Napoli”.

È questa la più grande, indelebile e grave colpa del proprietario del Bari: aver voluto spaccare il tifo, ossia la più grande forza del Napoli.
Potrà comprare undici Messi e vincere dieci scudetti, questa infame colpa non sarà mai mondata.
Mai.

Bandito

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Se pure arrivasse James Rodriguez, sarebbe comunque il secondo “Bandito” più importante nella storia del Napoli.

Il primo, oggi, compie 50 anni.

La più bella del mondo

Maglia Napoli Mars

Tutta azzurra.
Coi numeri bianchi.
Senza pixel, pantere, strisce, denim e camouflage.

La più bella del mondo.

Mastino

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Cane ‘e presa.
Questo è il nome con cui l’ho conosciuto, tanti anni fa.
Abbaiava, ringhiava a chiunque provava a mettere piede in casa sua.
Amichevole e leale con chi gli era amico.
Non lo facevi fesso, manco per il cazzo.
Era molto più intelligente di quanto sembrasse.
E sapeva essere spietato, quando c’era da combattere.

Mastino.
Mastino napoletano.
Così lo chiamano.

Per la Maglia, per la Città

Per la Maglia per la città

“Siamo tifosi del Napoli.
E siamo tifosi di Napoli.
Perché tra squadra e città
per noi c’è identità.
La Maglia non è moda o convenienza,
ma questione di viscerale appartenenza.”