Quando l’arbitro fischia tre volte e la tua squadra non ha raggiunto il risultato sperato, accade una cosa. Dura un attimo o poco più, alla peggio qualche minuto, poi passa. Ma succede sempre.
Accade che ogni volto vicino a te perda i lineamenti, che la tua città imbruttisca all’istante, che la tua ragazza faccia schifo, che il tuo lavoro non abbia più senso. Accade che la rabbia provata fino al triplice fischio si tramuti in sgomento, in perdizione, infine in disperazione.
Ogni volta c’è uno smarrimento, una labirintite improvvisa, una emicrania lancinante, un groppo in gola, un cuore impazzito.
Poi cominci a sentire i commenti, quegli infiniti “Lo sapevo” , quei vergognosi “Ma che veniamo a fare”, quegli indecenti “La prossima volta mi sto a casa”.
Allora lì tutto finisce. Nessuno smarrimento, tutto torna chiaro. E tu capisci nel profondo il senso di quelle parole che ti dissero quando avevi da poco iniziato a frequentare le gradinate.
Quelle parole che hai tatuato nell’anima e che, in queste serate, tornano a infiammarsi di verità:
Quando vinci, sei di tutti.
Quando perdi, sei solo mia.