Tre

Tifosi_sulla_rete

Ci sono quelli che chiedono le vittorie. I trofei, le coppe, gli scudetti.
Quelli che per una vittoria sarebbero disposti a tutto. Ogni scorrettezza, persino la più infame, viene giustificata in nome del risultato.
Vincere è l’unica cosa che conta non è un motto solo juventino. Citazioni di Machiavelli a cazzo, ci si nasconde dietro un bieco “il fine giustifica i mezzi”.
Questi tifosi valutano tutto in base al risultato. Se vinci, loro sono con te. Se non vinci, sei un fallito. E i falliti non piacciono a nessuno, in un campo da calcio come nella vita di tutti i giorni.

Poi ci sono quelli romantici, che sognano di vincere giocando meglio dell’avversario. Quelli che si esaltano per l’azione sublime, il colpo ad effetto, la giocata folle che illumina un pomeriggio grigio e faticoso.
Sono i tifosi del bello, gli esteti del calcio totale, per i quali una sconfitta non è un dramma se arriva dopo una grande prestazione.
Sono quelli che nella vita provano a fare la cosa buona, a stare dalla parte dei giusti e dei ragionevoli, pronti alle raccolte di firme, ai cortei per la pace, allo sport inteso come passatempo che fa bene al corpo e allo spirito.
Persone nobili, perle rare, spesso però inadatte alle battaglie della vita.

Poi ci sono quelli. Gli altri. Quelli che non piacciono ai machiavellici e ai romantici. Quelli che si esaltano per un tackle duro, per una maglia sudata fino all’inverosimile, per un gamba tesa, per quelli che mettono la testa dove gli altri non metterebbero un piede.
Quelli che sì, davvero, fino in fondo, vivono ogni momento “al di là del risultato”. Sul campo di calcio come sul luogo di lavoro, in famiglia come tra gli amici.
Non vogliono fare la cosa buona, né la cosa giusta, ma solo quello che va fatto. Per appartenenza, per difesa o persino per vendetta.
Non vogliono stare dalla parte dei buoni e dei ragionevoli: dalla parte del torto si sta meglio, c’è più posto.
Quelli che non hanno nobiltà, se non di spirito. Gente popolare, nel senso migliore del termine.

Quale dei tre gruppi è meglio? Domanda sbagliata. Non è questione di classifiche, ma di atteggiamento, di approccio, di mentalità.
Già, la mentalità. E’ quella a fare la differenza.
Sempre. Ogni giorno. In ogni campo. Sotto ogni tempo.

Essere Ultras

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Essere ultras sulle gradinate della vita.

Quando mi dissero questa frase non avevo ancora la barba. Oggi a molti può sembrare una frase eccessivamente retorica, ma credetemi… cazzo, credetemi… non lo è.

La vita è davvero una gradinata. Si sale, si scende, si esulta, ci si dispera, si carica, ci si difende.

Essere ultras non è solo il sostenere una squadra, una maglia, una bandiera come nessuno farebbe. Contro tutto e tutti. Non è una cosa da stadio e basta.

Essere ultras è una questione di approccio, di appartenenza, di mentalità. Una mentalità che devi mettere in ogni cosa, da quando quella sfaccimma di sveglia suona all’alba a quando ti fai l’ultimo sorso prima di andare a dormire.

Essere ultras non è solo scontrarsi con altri tifosi o con la sbirraglia, ma è scontrarsi contro le storture di un sistema, contro gli affanni di ogni giornata, contro i semafori rossi dell’esistenza.

Essere ultras è tirare su il cappuccio della felpa e gridare a questo cazzo di mondo che no, non ci avrete mai come volete voi.

Divide et impera

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“Faremo un grande mercato.
Tutti cambiano allenatore, noi no.
Grande vantaggio.

I faretti. I seggiolini. Le Universiadi. Il pezzotto. La droga. Le multe.

Albiol vuole andare via? Mannaggia.
Manolas? No, è ‘na capa pazza.
E’ vero! Un amico del fidanzato della figlia di mio cugino è passato per Roma due anni fa: Manolas rompe lo spogliatoio.
Arriva Manolas: grande acquisto!
La miglior difesa d’Italia. Anzi d’Europa.

E adesso arriva pure James.
E’ fatta. E’ ufficiale.
Quasi ufficiale. La comunicazione arriverà il 13 luglio.
Il 15 agosto.
Il 30 febbraio.

Che ha detto? Mette le curve a 50 euro? Fa bene! Accussì imparano a contestarlo!
Come? Ha abbassato i prezzi? Ha fatto bene! Accussì imparano a contestarlo!

Pareggiamo con la Cremonese: servono rinforzi!
Surclassiamo il Liverpool: nun serve nisciuno!
Ne pigliamo quattro dal Barcellona: ma quando arriva James?
Meno male che Elmas è giocatore. Il nuovo Fabian Ruiz.

Mica come Milik, quella pippa polacca. Magari arrivasse Icardi!
Icardi non vuole venire? Tanto abbiamo Milik! Che ce ne fotte!
Siete degli ingrati col polacco. Io sto con Milik.
Je suis ADL.”

I tifosotti ragionano così.
Da giorni, da mesi, da anni.
Da sempre.
Si fanno dividere per farsi comandare.
Quanto gli piace stare sotto padrone, mammamà.

Meno male che c’è gente ESTRANEA a questo modo di ragionare.
E che non è serva di nessuno.

Ulteriore repressione

Fumogeno

Decreto sicurezza bis.
Codice comportamentale.

Gli ultimi infami tentativi del Sistema di togliere colore alle gradinate.

Strategie

No alla tessera

E’ necessario un mea culpa collettivo.
Ieri, dopo l’ufficializzazione della campagna abbonamenti, l’entusiasmo per il ritorno a prezzi modici ha oscurato, o quantomeno reso meno evidenti, due importanti storture.
Anzi, chiamiamole per quelle che sono: strategie.

La prima: è possibile abbonarsi solo per i possessori di fidelity card, ossia della tessera del tifoso mascherata e resa obbligatoria dalla Lega. “E’ obbligatoria, quindi qual è il problema?”, è l’obiezione che viene facile. La comprendiamo, per carità. Ed è probabile che su questa battaglia bisognerà registrare una sconfitta. Ma proviamo ad aprire gli occhi e le orecchie, non solo il portafoglio: quale fidelity card è più “fidelizzante” dello stesso abbonamento? Se io mi abbono, sono già un fidelizzato e dovrei avere già diritto ai benefit del tifoso “registrato”. Perché si sa, per abbonarsi è necessario portare un documento valido, eccetera, eccetera.

Allora a che serve questa ulteriore fidelity card? Prima, quando senza ipocrisia veniva chiamata Tessera del Tifoso, l’obiettivo era fondamentalmente di carattere commerciale. Infatti la TdT era una sorta di carta di credito, o meglio una Postepay. Il fallimento di questa strategia, negli anni, ha portato all’eliminazione parziale di questo aspetto.
Rimane però il divieto principale: il famigerato Articolo 9, ossia il divieto di partecipare a manifestazioni sportive per coloro che hanno commesso “reati da stadio”. Anche se le pene per questi reati sono state scontate. Inutile dire che l’incostituzionalità di tale provvedimento è lampante, ma nel paese dei gattopardi la Costituzione viene puntualmente calpestata, specie quando riguarda quei luridi tossici, camorristi, spacciatori e falsari delle curve!

E cosa ha fatto la società Napoli in questi anni, per contrastare questo stomachevole andazzo? Una beneamata minchia, sposando totalmente la linea della Lega e le strategie di repressione del tifoso non allineato. Nessuna opposizione alla fu tessera del tifoso, nessun contrasto al nuovo codice comportamentale voluto da Salvini.

Secondo aspetto non analizzato ieri: i prezzi, già fissati, per le partite di campionato. “Prezzi in linea con le altre squadre!”, si dirà. Vero, purtroppo. Perché spendere quaranta euro a cranio per assistere ad una partita di cartello in curva (e settanta cucuzze nei distinti…) è quanto di più lontano a ciò che viene definito “sport popolare”. La strategia è chiara: incentivare ad abbonarsi (costo medio, 15 euro a partita in curva), piuttosto che comprare i singoli biglietti. Ha una logica, non c’è che dire. E se fosse slegata dalla tessera del tifoso, o fidelity card che dir si voglia, ci troverebbe probabilmente d’accordo. Ma qui assume i connotati del ricatto.

Questioni di strategie, signori. Strategie commerciali e repressive. Per le quali il tifoso è un utente. Nulla di più.

Bandito

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Se pure arrivasse James Rodriguez, sarebbe comunque il secondo “Bandito” più importante nella storia del Napoli.

Il primo, oggi, compie 50 anni.

La più bella del mondo

Maglia Napoli Mars

Tutta azzurra.
Coi numeri bianchi.
Senza pixel, pantere, strisce, denim e camouflage.

La più bella del mondo.

Vogliamo la nostra maglia!

Maglia_Napoli_2019-20

Le voci e le immagini circolate settimane fa erano vere.
Purtroppo.
Dopo la pantera dell’anno scorso, completamente priva di ogni riferimento storico o culturale al Napoli e a Napoli, si è stati capaci di peggiorare la situazione.

– Ma perché, mica è brutta sta maglietta!

Preveniamo l’obiezione.
A noi non ce ne fotte se è bella o brutta, perché ognuno ha i suoi gusti. Noi ci limitiamo a dire che questa NON È la maglia del Napoli.
I pixel, il camouflage, i corn ‘e chi v’è vivo… tutte puttanate, che rispondono a logiche mercantili e pubblicitarie.
Logiche che non ci appartengono e che contrastiamo.

Se si vuole sperimentare, esiste la terza maglietta. Quella possono farla verde, bicolore, a pois, chi se ne fotte.
Ma la prima deve essere TUTTA AZZURRA, senza ghirigori, coi numeri bianchi.

Sappiamo bene che questa è una battaglia di retroguardia, che ha più avversari che sostenitori.
Siamo consapevoli che il mondo del Calcio è pronto a sotterrare tradizioni, loghi, colori sociali sull’altare del Mercato.
Sappiamo anche che molti coglioni sono pronti a spendere centinaia di euro per queste cagate, e se qualcuno fa notare loro la stronzata che fanno, si innervosiscono.

Ma noi siamo fatti così.
Legati alla Tradizione che non puzza di conservatorismo.
Il nostro pensiero è OPPOSTO, difficilmente riconducibile alla prassi del Sistema Calcio.
E continuiamo a dirlo, anche se la nostra voce rimarrà isolata.

Chiudiamola qui

Sarri_Luce

Tante cose ci sarebbero da dire.
Molte delle quali sono irripetibili, perché a rischio denuncia.
E perché il disgusto può annebbiare la mente.

Ai benpensanti piace credere che Amore e Odio siano complementari.
Come Yin e Yang.
A me hanno insegnato che sono antitetici.
Come Bianco e Nero.

Ammetto una colpa, una sola:
l’aver derogato al principio cardine di chi vive il calcio, e non solo, come lo vivo io.
Quel principio che recita “Solo la Maglia”.
Ho derogato a quel principio in nome di un qualcosa che evidentemente non esisteva.
E stamattina ne ho avuto la prova definitiva.
Era un film Luce, come diceva mio nonno quando si riferiva a qualcosa di totalmente inventato, di inesistente.

L’attuale allenatore di quelli là è stato il mio film Luce.
L’ultimo film Luce.
Il più bello, ma il più falso.
E adesso è arrivato il momento di farla finita coi film Luce.

Chiudiamola qui.

La libertà

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La libertà non è fare il cazzo che ti pare. Lo dovresti sapere, ormai. Perché a ogni tua azione corrisponde una reazione.
Non è filosofia di merda, no. È fisica. Il mondo gira così, tra un contropiede e l’altro.
E si può stare al mondo solo in due modi: in catene o liberi. No, non parlo di catene reali, di ferri più o meno arrugginiti messi da qualche divisa serva dello stato e confermati da qualche toga serva dello stato.
C’è più gente libera in galera che nelle tribune vip degli stadi di mezza Europa.
Parlo di catene mentali, di presunte certezze figlie del pregiudizio e madri di ogni giudizio. Sicurezze che danno insicurezza all’anima, portandoci a scegliere una comoda prigione dipinta di libertà da discount piuttosto che la scomoda estraneità alla massa.

Onore agli uomini realmente liberi. Agli estranei, agli eretici, agli eterodossi.

Ultimo baluardo

Ultimo Baluardo

I calciatori, gli allenatori, i dirigenti, i presidenti.
Tutti possono tradire, baciare maglie già abbandonate, giurare fedeltà già infedeli.

Solo loro non tradiscono mai.
Mai.

Ultimo baluardo di irriducibile fedeltà.

Decreto sicurezza bis: meno diritti anche allo stadio

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Il problema è serio.
Decenni di repressione indiscriminata, di inutili tessere del tifoso, di caro biglietti, di articoli 9 e altre amenità, non sono evidentemente bastate al Sistema Calcio.
Postiamo qui due contributi, entrambi “firmati” dall’avvocato napoletano Emilio Coppola, tra i più noti e competenti esperti di leggi riguardanti la vita da stadio e il calcio in generale.

Il sedicente decreto sicurezza bis è un pericoloso peggioramento delle libertà individuali e collettive. Ovviamente, anche il mondo del tifo, organizzato o meno, è sotto la lente di ingrandimento di questo ennesimo tentativo di repressione di un movimento sociale che, al netto di errori e contraddizioni, rappresenta comunque l’ultimo baluardo al sacrificio del Calcio sull’altare del Profitto.

Vi invitiamo, quindi, ad ascoltare attentamente quanto riportato in questo video:

e poi a leggere quanto riportato in questo articolo, tratto dal sito Identità Insorgenti:

Su sollecitazione di molti che mi hanno chiesto cosa cambia nelle manifestazioni sportive dopo il decreto sicurezza bis, decreto che nasceva per contrastare una serie di fenomeni sull’immigrazione clandestina e per lo svolgimento imminente delle Universiadi a Napoli.

Non entro nel merito delle due questioni ma affronto quello che è disciplinato dal decreto sicurezza bis al capo tre, ossia le disposizioni urgenti in materia di contrasto alla violenza in occasioni di manifestazioni sportive: è stato infatti completamente riformato l’articolo 6 della legge 401/89 che era l’articolo cardine che disciplinava il Daspo. Nella nuova formulazione viene estesa la possibilità ai questori e al personale di polizia di emanare Daspo per i soggetti non solo denunciati ma anche per quei soggetti che abbiano incitato o inneggiato o indotto alla violenza. Questo chiaramente è un’estenzione discrezionale estensiva dei poteri dei questori che possono censurare alcuni comporamenti e magari tollerarne degli altri. Avremo il rischio concreto che qualche questura in Italia, nel prossimo campionato, possa daspare soggetti che magari si sono resi responsabili del gesto dell’ombrello verso il tifoso avversario, dicendo che quel comporamento che in un certo senso può indurre alla violenza. Quindi una novità introdotta che mi sento di poter criticare foremente per la discrezionalità a cui si espone. Inoltre vi è la possibilità di emanare Daspo per una condotta singola o di gruppo tenuta all’estero e non solo per episodi violenti ma anche per episodi che possono indurre alla violenza. Quindi basta andare a bere nel pub sbagliato all’estero con i propri amici con la digos che segue la tifoseria all’estero che fa rapporto in questura per avere il Daspo da parte della Questura dove si risiede.

Inoltre viene estesa la possibilità di emanare Daspo non solo nei confronti di soggetti che si rendono responsabili di delitti o che comunque vengono denunciati in occasione di manifestazioni sportive ma anche di soggetti che vengono denunciati per la legge sulle armi e per le risse, non in occasioni di manifestazioni sportive ma nella vita di tutti i giorni. Quindi se domani vi vedete con i vostri amici fuori ad un locale e venite purtroppo coinvolti in una rissa sappiate che i Questori hanno la possibilità di emanare il Daspo nei vostri confronti.

E veniamo a un punto molto dolente della nuova disciplina che è l’aumento della durata del Daspo per i recidivi che non sarà più da 5 a 8 anni come prevedeva la legge Renzi-Alfano ma sarà da 6 a 10 anni. Quindi va fatta molta attenzione alla riabilitazione amministrativa: lì dove siano trascorsi 3 anni dallo scadere del Daspo e non ci si è resi responsabili di ulteriori reati o denunce, va chiesta la riabilitazione amministrativa alla questura di competenza, con i propri legali o direttamente in questura: un consiglio che mi sento di dare perché entrare oggi in nello scaglione dei recidivi significa la morte del tifoso.

Inoltre il decreto sicurezza bis istituzionalizza la figura del “tifoso spione” ossia chiunque viene daspato se collabora nell’indentificazione di soggetti che magari si sono resi responsabili in gruppo di alcune condotte può avere un trattamento sanzionatorio diverso o addirittura la revoca del provvedimento, anche lì dove si ripara il danno creato – e questo potrebbe avere una logica, mentre la prima mi pare un po’ fuori dalle righe. Inoltre viene estesa la possibilità di fare il daspo ai soggetti sottoposti a misure di prevenzione. C’è inoltre una parte che riguarda la materia dei rapporti tra società e tifosi e viene fatto assoluto divieto alle società di concedere biglietti a titolo agevolato o gratuito, titoli di viaggio – basti pensare alle tifoserie che seguono le coppe europee – ai soggetti destinatari di Daspo. Quindi le società le società che affrontano le coppe europee, ad esempio che vogliono organizzare un charter, non possono affidarsi a tifosi daspati. Viene inoltre equiparato l’arbitro a un incaricato di pubblico servizio estendendo la sei quater della legge 401/89.

Altra novità importante è che viene introdotta un aggravante del codice penale sull’articolo 61 che riguarda appunto le aggravanti, viene data la possibilità di contestare questa aggravante quando il reato viene commesso durante le manifestazioni sportive.

Inoltre vengono estese le possibilità di fermi per gli indiziati di reato e – udite, udite – l’unico sistema che stava funzionando attualmente nel nostro sistema di procedura penale, quella dell’ipotesi di particolare tenuità, che ha fatto sì che sia io che molti colleghi siamo riusciti ad ottenere questa pronuncia da parte dei tribunali nelle ipotesi come ad esempio l’introduzione di una torcia all’interno dello stadio, oggi l’ipotesi di particolare tenuità per lo stadio non è più ravvedibile.

Credo che sia questa la novella più significativa del decreto sicurezza bis in materia di manifestazioni sportive. Questo è quello che ha voluto il ministro dell’Interno, quello che qualche mese fa stringeva la mano a un tifoso di un’altra squadra definendosi amico degli ultras.

Ora al di là delle idee politiche di ognuno, il mio auspicio è che questa materia non venga disciplinata con questi colpi di mano improvvisi e continui ma che si metta mano veramente, ad esempio levando ai questori il potere di daspare, che andrebbe lasciato ai giudici, come avviene in Inghilterra, cosa che nessuno dice affinché ci sia un contraddittorio pieno prima dell’emanazione di un Daspo.

Questo, intanto, è lo Stato di Polizia che ci sarà nel prossimo campionato dalle prime informazioni arrivate. Naturalmente vigileremo e seguiremo gli sviluppo di questa materia.

Avvocato Emilio Coppola

Estremo sostegno

meno vinci piu canto

“Quando vinci sei di tutti. Quando perdi, solo mia.”
Non è solo uno striscione, un coro da stadio, una frase da appuntare sul diario di un adolescente che comincia a frequentare le gradinate.
E’ un comandamento da osservare, un ideale da seguire e professare, una strada da calpestare. Da solo o in compagnia di altri come te. Persone che restano sugli spalti quando tutti cominciano ad andar via. Gente che perde la voce non solo quando vinci, ma soprattutto quando perdi.

Gente che non molla. Mai.

In curva ho imparato tutto

UMV

In curva ho imparato tutto. Tutto ciò che so su come cazzo si sta al mondo. Non me lo hanno insegnato a scuola. Non me lo hanno insegnato in chiesa. Me lo hanno insegnato in curva.

In curva ho capito che Amore fa rima con Onore. Se ami la tua squadra, devi onorarla. Se ami la tua donna, devi onorarla. Amare in maniera disonorevole non è amare. Se un amore ti porta a fare cose ingiuste o indegne, non merita di essere vissuto. Onora la tua squadra, onora la tua curva. Solo così dimostrerai amore: a lei e a tutti. E soprattutto a te stesso. Onora te stesso, fratello.

In curva ho imparato la Solidarietà. Aiutare chi non conosci. Abbracciare chi non conosci. Perché se sta lì con te, perde la voce insieme a te, si spella le mani insieme a te, macina chilometri insieme a te, subisce la repressione di stato insieme a te, significa che è come te. Significa che tu e lui siete la stessa cosa. Un pugno dato a lui è un pugno dato a te. Una manganellata sulla sua schiena è una manganellata sulla tua schiena. Quando cade per terra, aiutalo ad alzarsi. Perché quando cadrai tu, una mano si tenderà e ti aiuterà ad alzarti. Indipendentemente dal risultato. Indipendentemente dai calciatori che vestono la vostra maglia. Quella mano, per te, ci sarà sempre. Sempre.
In curva ho imparato che tutto passa, tranne l’Ideale. I calciatori possono cambiare casacca. I presidenti possono vendere la squadra. La Federazione può farla retrocederla o costringerla al fallimento. L’Ideale Ultras, invece, ci sarà sempre. In piedi sulle rovine del calcio, e del mondo, moderno. Quell’Ideale che ti fa mettere la gamba dove tutti la toglierebbero. Che ti fa credere che nella vita di tutti i giorni, anche se stai sotto 3 a zero, puoi sempre farcela. E’ già successo, e succederà ancora. E ancora. E ancora. E può succedere anche a te, se non molli di un millimetro. Se non indietreggi, nemmeno per prendere la rincorsa.

In curva ho imparato che si può essere fratelli anche se non si hanno gli stessi genitori. Che possono nascere amicizie immortali. Che il rispetto per gli altri porta al rispetto per se stessi. Che tutti abbiamo il sangue rosso, quel sangue che le forze del (dis)ordine provano a farci uscire ad ogni trasferta, persino quando non facciamo niente e stiamo buoni e composti come ci vuole il Sistema.

In curva ho imparato che il Sistema non ci vuole in una certa maniera piuttosto che in un’altra. Il Sistema non ci vuole e basta. Non vuole gente con la schiena dritta. Non vuole persone che non accettano di pagare 40 euro una curva. Non vuole persone che non vogliono tesserarsi e ridursi ad essere soci di un club. Il Sistema vuole degli utenti a cui far credere di essere suoi soci. Io non voglio essere socio di nessuno.

In curva ho imparato che la politica non deve entrare negli stadi. Perché divide. E tutto ciò che ci divide, che ci allontana, che ci ingabbia in categorie e definizioni, è nocivo. Gli ultras non si dividono, si differenziano. La differenza sta solo nei colori sociali e nelle città che difendono. La mentalità, invece, ci unisce tutti.

In curva ho imparato che chi non capisce e non rispetta queste semplicissime “regole non scritte”, non è un ultras.
Scegliete un altro nome. Chiamatelo in un’altra maniera.
Ma non vi permettete di chiamarlo Ultras.

Dietro la panchina

Dietro la panchina

Avrò avuto quattordici anni o poco più.
Stavo sugli spalti del Tempio, vicino ai Fedayn.
Incrociai un ultras che indossava una t-shirt grigia, con la scritta in rosso.
Support your local team.
Non ci avevo mai pensato, ma in effetti era una cosa sacrosanta.

Io sono di Pozzuoli, in provincia di Napoli.
A Pozzuoli esiste una squadra, la più antica della Campania.
Football Club Puteolana 1902.
La Puteolana.
Maglia granata, un diavolo come stemma.
Quando mi allacciavo gli scarpini e provavo a rubare palloni agli attaccanti avversari, per un anno ho giocato anche nelle giovanili della Puteolana.
Un anno solo, il tempo di capire che tra calcio e studi liceali, avrei fatto bene a dedicarmi solo a questi ultimi.
A vedere la Puteolana c’ero andato un sacco di volte.
Ma mai a fare il tifo.
Mai in mezzo agli ultras.

Quell’incrocio sugli spalti del Tempio mi spinse a vedere le cose da un’altra prospettiva. Decisi di andare a seguire anche la Puteolana, tutte le volte che gli orari della partita non coincidevano con quella del Napoli. Andai una prima volta, in mezzo agli ultras granata: Old Fighters e Vikings erano i due gruppi principali, quelli che avevano davvero una attitudine ultras. Conoscevo ragazzi di entrambi i gruppi, così mi sistemai con loro. Ci andai una domenica, visto che il Napoli aveva giocato il sabato.
Eravamo a pochi metri dal campo di gioco e facevamo un tifo indiavolato. Mai aggettivo fu più indicato, trattandosi della Puteolana. Il guardalinee poteva sentire le nostre bestemmie e i nostri cori. I calciatori stessi venivano coinvolti dal nostro casino sulle gradinate. Fu un’esperienza bellissima. Vincemmo, ma questo è un dettaglio poco importante. Avevamo fatto un grande tifo. Cori e treni compatti. Una splendida fumogenata. E tifo all’inglese, come piaceva a me, che lo avevo imparato nei Fedayn: senza tamburi, solo battimani e voce.

Il giovedì successivo, nel tardo pomeriggio, la Puteolana sostenne l’allenamento al Conte, lo stadio di Pozzuoli. Era uno di quei pomeriggi invernali in cui nessuno esce di casa se non ha un cazzo da fare. Io, invece, sono sempre stato un tipo a cui la casa puzzava: appena potevo, scendevo e me ne andavo per i cazzi miei. A passeggio, a scrivere, a incontrare gente.
Quel pomeriggio andai al Conte. Avevo voglia, avevo bisogno di stare lì. Chiamai qualche amico per vedere se qualcuno volesse venire con me. Un paio di loro rispose presente: ci saremmo incontrati lì.
Entrai al Conte e non c’era nessuno. Né sulle gradinate, né in campo. Il vento gelido tagliava a fette l’aria e i fili d’erba del campo. Dopo cinque minuti, mi squillò il cellulare:

  • Dove cazzo ti sei messo?
  • Sulle gradinate.
  • Lo so, ti vediamo. Che cazzo ci fai da solo là? Noi stiamo dietro la panchina. Vieni.

Alzai lo sguardo e li vidi. I miei compagni. Entrambi Old Fighters. Stavano seduti sui gradoni dietro alla panchina, dalla parte opposta del campo. Si stavano sbracciando come coglioni.
Mentre facevo il giro del campo per raggiungerli, i giocatori della Puteolana entrarono in campo. Me ne accorsi perché sentii gli applausi dei miei due amici. Guardai nella loro direzione e scorsi i calciatori abbandonare gli spogliatoi e calpestare il verde sporco del campo.
Arrivai da loro e ci salutammo. Faceva un freddo fottuto, un tempo ideale per un caffè bollente. Invece i due avevano portato qualche lattina di birra. Ne presi una in mano, era ghiacciata. Ma se hai quattordici anni e stai di giovedì pomeriggio a vedere l’allenamento di una squadra che fa l’Eccellenza o giù di lì, vuol dire che te ne sbatti il cazzo del caldo, del freddo e di quello che fanno i tuoi coetanei. Ti senti davvero come dicevano i Fedayn: Estraneo alla Massa.

Ci scolammo le prime tre birre manco fosse una calda serata agostana. Poi Procolo, uno dei miei amici, ci guardò con occhi convinti:

  • Fa nu sfaccimma ‘e fridd, ci dobbiamo riscaldare. Tifiamo.

Nessuno obiettò. Alzammo le mani e cominciammo a intonare un coro.
Poi un altro. Poi un altro ancora.
I calciatori di tanto in tanto buttavano un occhio verso di noi.
Verso tre ragazzi dietro la panchina.